di Gianluca Cionna*

Ora che la Commissione meno sostenuta della storia ha avuto il via libera dal Parlamento europeo, sarebbe il momento di analizzare cosa è successo nelle audizioni dei commissari europei che hanno determinato il malcontento.

Intanto, andrebbe detto che quest’anno, anziché offrire dibattiti incisivi e mettere alla prova la preparazione dei commissari designati, le audizioni si sono spesso dimostrate uno spettacolo privo di vera sostanza, dove a regnare è stato il mutuo controllo. Il motivo è da ricercarsi nella fragile alleanza tra i principali gruppi politici del Parlamento europeo. Fragile, perché poggia su un assunto erroneo: il Partito Popolare Europeo (PPE) vuole governare l’Europa con le forze pro-europeiste che hanno rieletto Von Der Leyen alla guida della Commissione, ovvero Socialisti, Renew e Verdi.

In realtà, molti temevano quello che al termine delle audizioni è parso palese anche ai più fervidi negazionisti politici: il PPE vuole governare con l’estrema destra. E siccome ha i numeri per farlo e ha pure la maggior parte dei commissari designati (14), in tanti hanno pensato che l’unica strategia possibile per mantenere questo equilibrio precario fosse una strategia di controllo reciproco nelle audizioni.

L’atteggiamento, seppur con qualche scossone, sembrava pagare. Ma i fragili equilibri sono saltati in aria quando si è presentata sotto i riflettori Teresa Ribera, commissaria designata dalla Spagna alla Transizione Pulita. Ribera ha dovuto fronteggiare un attacco politicamente inatteso – e in molti frangenti dai toni indecorosi – portato principalmente dai popolari spagnoli sulla gestione delle recenti inondazioni di Valencia. I popolari hanno usato l’aula di Bruxelles per scagionare il loro presidente della Comunità Valenciana, Carlos Mazón, dalla bufera sulla mala gestione dell’emergenza che lo ha travolto in patria, tentando di dirottare le responsabilità su Ribera.

In risposta alla crociata dei Popolari, i Socialisti hanno ritirato il loro appoggio ad altri candidati, tra cui Fitto, mettendo in dubbio la possibilità che la nuova Commissione guidata da Von der Leyen potesse entrare in carica il primo dicembre, come annunciato. Alla fine, Popolari, Socialisti e Liberali hanno trovato un compromesso di facciata e la Commissione, dopo il sì di Strasburgo, partirà nei tempi previsti.

Ma l’elefante nella stanza resta: tutti sanno che Manfred Weber, leader del PPE, mentre ai microfoni tesse le lodi di una rinnovata fiducia tra gli esponenti della maggioranza europeista, dietro le quinte continua a tessere la trama di una seconda maggioranza, costituita da gruppi di destra radicale come i Patrioti per l’Europa (PFE) di Le Pen, Orban e Salvini e i Conservatori e Riformisti Europei (ECR) di Meloni e Kaczyński.

Oltre alle loro agende politiche, PFE ed ECR hanno un’altra, importante, caratteristica comune: appaiono tanto spregiudicati e indipendenti nelle dichiarazioni stampa, quanto remissivi e subordinati quando si tratta di negoziare le proposte legislative. Il vassallaggio, ben inteso, è nei confronti del PPE, che ha gioco facile nell’imporre ai cosiddetti sovranisti la propria agenda politica quando si discutono le proposte nel merito. Quindi, Meloni, Salvini e soci che ai propri elettori promettono di scoperchiare l’Europa, di fatto si trovano a sostenere le politiche del PPE, che l’Europa la governa da sempre. In cambio, le forze sovraniste che si definiscono anti-sistema, sono ormai parte integrante del sistema stesso, come hanno dimostrato i recenti voti comuni su Legge Deforestazione e Venezuela in Plenaria.

Giocando su due fronti, Weber può facilmente sfruttare il ricatto di una maggioranza alternativa per strappare compromessi più favorevoli nelle negoziazioni con il centro-sinistra. Ma questo gioco quanto può durare? Siamo destinati a cinque anni di maggioranze europee instabili e frammentate? Cinque anni di maggioranze à la carte che magari favoriscono il PPE, ma di certo non l’Unione e la sua credibilità come blocco?

Non so se ce ne siamo accorti, ma l’Europa si trova ad affrontare sfide senza precedenti, come cambiamento climatico, disuguaglianze economiche e tensioni geopolitiche. Il tutto con Trump di nuovo alla Casa Bianca. In assenza di una governance forte e stabile, di obiettivi chiari condivisi e poi concretamente perseguiti, rischiamo di rimanere relegati al ruolo di semplici gregari nello scacchiere mondiale.

* funzionario legislativo in Parlamento Europeo per il Gruppo dei Verdi, ex giornalista

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