Dopo aver diffuso buoni dati sulla crescita economica, Mosca ha pure rivisto al rialzo di 17 miliardi di dollari le sue previsioni sugli incassi provenienti dalle esportazioni di petrolio nel 2024. Secondo quanto riporta l’agenzia Reuters il Cremlino si attende ora di incassare poco meno di 240 miliardi di dollari, 13 miliardi in più del 2023. Migliorata anche la stima per il 2025 che passa da 226 a 236 miliardi di euro.

Nonostante le sanzioni,dimostratesi largamente inefficaci, la Russia si aspetta di esportare quest’anno 240 milioni di tonnellate di greggio, un paio di milioni in più rispetto al 2023. Il ministero dell’Economia russo prevede inoltre che il prezzo medio del petrolio russo salirà quest’anno a 70 dollari al barile, una revisione al rialzo di 5 dollari rispetto a una stima fatta ad aprile.

Come è noto e ampiamente documentato dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia è riuscita a dirottare gran parte dei suoi commerci di idrocarburi lontano dall’Europa, intensificando gli scambi commerciali soprattutto con Cina ed India. Mosca ha inoltre beneficiato indirettamente degli sforzi di Arabia Saudita ed altri paesi Opec per sostenere le quotazioni del greggio. Come iniziano a notare alcuni analisti il problema fondamentale delle sanzioni è che non c’è un modo per tagliare significativamente le entrate della Russia senza danneggiare nel processo i paesi europei.

La Russia che fornisce il 10% degli approvvigionamenti globali di greggio è un attore troppo grande nel mercato petrolifero per poterlo fare. Paradossalmente le sanzioni hanno contribuito ad alzare le quotazioni senza penalizzare la produzione russa che ha così visto crescere, invece che diminuire, i suoi incassi. Nel 2019, ultimo anno “normale”, la Russia aveva guadagnato esportando greggio circa 190 miliardi di dollari, 50 miliardi in meno del 2024.

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