È normale essere picchiati al Beccaria” racconta A., 17 anni, di un paese dell’Europa dell’est, agli inquirenti di Milano che hanno svelato come l’istituto Beccaria di Milano, per i detenuti minorenni, fosse diventato un inferno. Anche perché era un “sistema”, come riconosce il giudice per le indagini preliminari di Milano Stefania Donadeo, colpire, umiliare, punire, pestare i ragazzini. Non episodi, ma violenze continue, crudeli, disumane e degradanti. Ed è per questo che è stato riconosciuto il reato di tortura nell’inchiesta che ha portato all’arresto di tredici agenti della Polizia penitenziaria, alla sospensione di altri otto e all’iscrizione nel registro degli indagati di altri cinque. Con lo spaventoso record di portare al dimezzamento dell’organico della struttura formata da circa cinquanta poliziotti. Alcuni dei quali, stando alle accuse, hanno falsificato le relazioni di servizio per mascherare quello che accadeva. Relazioni che venivano “sistemate” dall’ex comandante anche lui indagato per falso. Una intercettazione su tante descrive la consapevolezza della gravità della situazione: “Eh compa’ ieri sera c’ero io, però minchia compa’ … Ma non, cioè dai, tutte le mazzate che so state date qua, dai frate’, non puoi fare una cosa del genere”.

Il benvenuto all’inferno per i nuovi arrivati era una abitudine – soprattutto “se arabi o del Bangladesh” racconta un 18enne nordafricano: “Era che non sa come sono le regole nel carcere, entrano nella cella e lo picchiano”. Violenze anche su corpi nudi con “cinghiate sulle parti intime” e “insulti sputi e stivali in faccia”. Non reazioni o punizioni ma appunto un “sistema per educare i minori”. Messo in crisi a un certo punto anche dalla presenza di telecamere interne che hanno fornito ai pm Cecilia Vassena e Rosaria Stagnaro i riscontri ad alcuni racconti. “Mo’ t’inculano … perché prima non c’erano le videocamere si trovavano le scuse ‘sì il ragazzo c’ba aggredito bla bla bla bla bla bla’ e ma mo’ non è più così” dice uno degli indagati intercettato.

“Il sistema” in un “clima infernale” – La pratica “reiterata e sistematica, se pur ai danni di diversi minorenni, delle violenze inflitte ha determinato un clima generale di paura, di umiliazione, di vessazione ed anche di indifferenza nei confronti dei bisogni primari dei detenuti minorenni. Minorenni costretti a volte a subire i pestaggi, a volte ad assistere a quelli del compagno di cella, a volte ad udire urla di dolore. Ciò ha creato un clima infernale lontano dalla promessa costituzionale della funzione rieducativa della pena”.

Nei racconti dei detenuti sono emersi una serie di pestaggi che per modalità “consentono di affermare che esiste un ‘sistema’ nel carcere Beccaria per educare i minori detenuti. Sistema conosciuto e riconosciuto da tutti i minori detenuti che vivono in un ambiente condizionato dall’angoscia continua di poter essere pestati per essere educati” evidenzia la giudice. “Anche se le percosse, le ingiurie, le minacce erano distribuite equamente tra tutti i detenuti e non reiterate solo nei confronti di alcuni di loro, ogni azione violenta era patita da tutti i detenuti che vivevano nel terrore del loro turno“.

E così, secondo la gip, “la diffusione sistematica della violenza ha determinato anche negli stessi detenuti la maturazione di un’idea di “normalità” della stessa”. Una sensazione dimostrata non solo dalle dichiarazione dei detenuti ma anche “dalle loro tecniche di prevenzione rispetto ai pestaggi: insaponare il pavimento e il corpo per far cadere gli agenti o per impedirne la presa”. “Ci eravamo coperti con tanti vestiti a strati perché cosi avremmo sentito meno le botte” racconta una vittima.

Le telecamere – Gli inquirenti ritengono che molti degli episodi contestati – il capo di imputazione per i 25 indagati è lungo 28 pagine – siano avvenuti nell’ufficio del capoposto dove gli occhi elettronici non sono presenti. Ma la polizia giudiziaria ha acquisito le immagini tratte dalle telecamere interne del corridoio del terzo piano, nella zona delle scale e nel corridoio del piano terra antistante l’ufficio del capoposto. E analizzando fotogramma dopo fotogramma che si vedono le spinte al detenuto portato nella stanza, gli orari di entrate e uscita e poi un agente uscire controllandosi una mano. Scena compatibile con il racconto di un indagato a una donna proprio del pestaggio ai danni di un detenuto in cui si era fatto male ad una mano picchiandolo.

Gli agenti erano preoccupati che gli occhi elettronici potessero restituire nella loro verità le torture inflitte a coloro che agli inquirenti hanno parlato anche di “schiaffi educativi”. Uno degli indagati parla con preoccupazione con un collega brigadiere che parla di aver visto immagini “devastanti”. Il sottufficiale lo rimprovera: “Eh lo so però se mi avessi ascoltato, visto che sono più grande, visto che posso essere un fratello, un padre, che cazzo è … Mi dovevate ascoltare. Però vi siete fatti prendere dall’euforia e là poco ci possiamo fare“.

“Insulti, sputi, stivali in faccia” – Quello che poteva accadere nella stanza senza telecamere è nel racconto di una delle vittime. “Mi hanno svegliato e mi hanno picchiato mentre ero in cella con un altro (…) mi hanno portato giù in una stanza singola e lì mi hanno ancora picchiato in faccia sul naso che mi faceva tanto male. Mentre mi picchiavano dicevano ‘sei venuto ieri e fai così, sei un bastardo, sei un arabo zingaro”. Dopo le botte una visita in infermeria dove alla vittima viene dato del ghiaccio.

In dieci, nel novembre del 2022, avrebbero punito un 19enne italiano ritenuto responsabile di aver appiccato un incendio all’interno della cella: “Il primo colpo è stato uno schiaffo, il secondo colpo è stato un pugno, il terzo colpo è stato nelle parti intime e da lì ho visto tutto nero (…) l’ultima cosa che mi ricordo è che mi ha sputato addosso”. A un gruppo di agenti viene poi contestato il pestaggio di un minorenne nordafricano: secondo la ricostruzione un poliziotto lo chiama alla finestrella della cella e gli spruzza lo spray al peperoncino negli occhi. A questo punto il branco di agenti, stando al racconto, inizia a colpirlo con calci e pugni su tutto il corpo: “Sei un figlio di puttana, tua madre è una troia, sei un clandestino, ti faccio vedere io come fare il figlio di puttana”.

Al ragazzo che tenta di difendersi con un pezzo di piastrella, viene strappata la maglietta. Poi i colpi sui genitali con una cinghia. Dopo il pestaggio, la vittima per un’ora era stata lasciata così. Il giorno dopo era stato accompagnato in cella: “Sei un bastardo, sei un arabo zingaro, noi siamo napoletani, voi siete arabi di merda, sei venuto ieri…”.

Un detenuto italiano racconta la sorte di un altro, è l’8 luglio 2023: “Hanno spaccato … un mio amico che adesso è al carcere di Bassone, giuro c’aveva qua sul labbro, qua c’aveva l’impronta degli stivali … quello che so io, quello che ho visto io con i miei occhi: lui tutto gonfio, qua sul labbro proprio l’impronta degli stivali, a zigzag, delle guardie, gli hanno schiacciato la faccia con gli stivali … “. Non mancavano gli insulti e le minacce come raccontato a verbale: “Figlio di puttana vedi di sciacquarti perché altrimenti te ne diamo altre, vedi di
muoverti, adesso non devi rompere più i coglioni”; “figlio di puttana, stronzo, parla adesso, frocio”; “Ti sparo, ti ammazzo”; “Sei un figlio di puttana, tua madre è una troia, sei un clandestino, ti faccio vedere io come fare il figlio di puttana”.

La tentata violenza sessuale – A uno dei poliziotti è contestata anche una tentata violenza sessuale. Il racconto del detenuto, compagno di cella della vittima, è ritenuto genuino dal giudice. “La sera dell’8 novembre 2023 è venuta la guardia di turno, di cui non ricordo il nome, e io ho chiesto se poteva lasciarci la televisione accesa perché avevo appreso che il giorno seguente non erano previste attività. Noi abbiamo tenuto la tv accesa sino alle cinque del mattino. La mattina dopo il guardiano della sera prima è tornato e ci ha chiesto se avevamo bisogno di lamette per raderci. Noi gli abbiamo detto di lasciarci dormire e lui è andato via. È rientrato – prosegue il racconto – una volta ancora verso le 9,30 e stavolta è andato direttamente da A. che stava dormendo in mutande coperto da un lenzuolo. La guardia ha scoperto il lenzuolo e messo la mano sul sedere… A questo punto A. ha detto” che cazzo fai” e la guardia gli ha detto ‘tranquillizzati, non svegliare gli altri, voglio solo fare l’amore con te‘. A ha dapprima chiesto “sei sicuro” e lui ha detto di si. Dopo questa risposta A ha reagito aggredendo la guardia, si è messo sopra e ha cominciato a colpirlo. lo sono intervenuto per cercare di separarli e A. si è seccato e mi ha detto “perché fai questo hai capito che questo voleva scoparmi?” a quel punto ho spinto la guardia e gli ho detto di andarsene e mentre usciva dalla cella, Amin gli ha lanciato contro una bottiglietta di plastica di the”.

“Dobbiamo mandare 5o giorni di malattia” – Gli agenti, quando era emerso che il direttore stava scaricando le immagini delle telecamere per determinare se ci fossero stati abusi, cominciano a pensare a ritorsioni. Due indagati intercettati dialogano tra di loro: “Ma io non so il direttore perché si è svegliato in questo modo, cioè tutto scemo. Ma zio, ma dice che sta prendendo provvedimenti seri. Si sta scaricando le telecamere e tutto. Cioè assurdo, ma ora dobbiamo fare come abbiamo fatto con H. quel periodo li frate. Non dobbiamo, dobbiamo mandare 50 giorni di malattia. Tutti quanti, perché non esiste. Tu sei il Direttore, tu ci devi proteggere, punto. Punto. Per un marocchino di merda che non parla l’italiano…. Lo facciamo crollare sto ca..o di carcere se si permettono”.

Il gip: “Agenti crudeli, possono rifarlo” – Per la giudice che ha firmato gli arresti per alcuni indagati il carcere non può essere che l’unica misura. “La pervicacia con cui gli indagati pongono in essere le proprie azioni delittuose non depone a favore di una loro imminente resipiscenza, bensì di una preoccupante recrudescenza delle medesime. Infatti, in più occasioni, e proprio quando loro già erano a conoscenza delle indagini in corso, hanno dato prova della loro inclinazione alla violenza e della loro volontà e capacità di essere sempre più. feroci e crudeli verso le vittime prescelte che dovevano subire i loro sistemi educativi. Le modalità delle azioni – aggiunge – sono sintomatiche di un’assoluta incapacità di autocontrollo e della necessità di tutelare l’incolumità psico-fisica dei detenuti
minorenni, che potrebbero subire, a turno, gli agiti violenti, stante la proclività alla violenza e la tenacia con cui gli indagati persistono nel loro proposito criminoso”. Reati aggravati dal fatto le loro vittime erano perlopiù minori o appena maggiorenni. E come racconta una delle vittime meno soggetti ad abusi: “Voglio dire che ai maggiorenni non succedono le cose che succedono ai minorenni, dove ti picchiano in cella entrano senza motivo; ma ti picchiano proprio“.

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