Nel Paese infuria il dibattito sullo smantellamento del Sistema Sanitario Nazionale, sui tagli alla spesa pubblica, sulla carenza dei medici, sul diritto alle cure. Un dibattito sacrosanto e forse addirittura fuori tempo massimo per quanto la deriva del processo è in stato avanzato, se non irreversibile. E tuttavia, nella “giustezza” della denuncia, c’è qualcosa che stride. Soprattutto per come la faccenda è oggi presentata all’opinione pubblica da molti esponenti politici, ma anche da molti autorevoli opinionisti; il che è comprensibile (e giustificabile persino) nel primo caso, attesi gli inevitabili interessi di bottega elettorale, mentre nel secondo suscita non poche perplessità.

Mi spiego meglio: la questione viene spesso raccontata secondo un cliché abbastanza rodato, e in apparenza persuasivo, che è poi compendiabile nell’intramontabile, quanto frusto, cliché “destra/sinistra”. Laddove la destra sarebbe la responsabile dello sfascio del sistema perché poco sensibile ai bisogni sociali, mentre la sinistra sarebbe paladina di questi ultimi in quanto “fisiologicamente”, e tradizionalmente, vocata a un approccio di tipo solidaristico alla cosa pubblica. Ma è davvero così? Possiamo ridurre davvero tutta la questione a un problema di “sensibilità” che una parte politica avrebbe mentre l’altra no? E, quindi, il bubbone scoppierebbe oggi perché alla guida del Paese c’è un governo di centro destra?

In realtà, le cose non sono affatto così semplici come vengono dipinte. E non serve uno scienziato per capirlo; basta uno storico il quale abbia tempo e voglia di fare un piccolo viaggio nel recente passato. Ebbene, dal 2012 (ascesa di Mario Monti dopo la caduta di Berlusconi) all’ottobre 2022 (inizio dell’esecutivo Meloni) e con la sola parentesi del gabinetto Conte 1, l’Italia è stata guidata da compagini costituite da coazioni di centrosinistra; ovvero “allargate”, ma con la determinante partecipazione del Pd: vale a dire, il principale partito di quell’area progressista che oggi grida allo scandalo dello smantellamento del Ssn. Un partito che non poteva non sapere come stavano le cose visto che, proprio nel 2012, un documento della Conferenza Stato-Regioni e delle Province autonome aveva lanciato l’allarme sul pericolo di collasso del sistema sanitario: in quell’alert, si diceva che i tagli previsti dal 2014 in avanti avrebbero determinato il grave rischio di non poter garantire le prestazioni essenziali alla popolazione (in ossequio al principio solidaristico e universalistico cui è ispirato il nostro sistema secondo il combinato disposto tra l’articolo 32 della Costituzione e la legge istitutiva del Ssn del 1978).

Nel 2015, l’allora commissario alla revisione alla spesa del Governo Renzi, Yoram Gutgeld, aveva annunciato l’intenzione di risparmiare fino a dieci miliardi grazie a interventi sulla sanità. La spesa per il personale sanitario era già scesa del 6 per cento tra il 2010 e il 2016. Nel corso della seconda decade di questo secolo, gli ospedali italiani sono diminuiti di 175 unità e il numero delle Asl è passato da 165 a 101 tra il 2011 e il 2017. Già nel triennio 2014-2017 si è registrato un allungamento delle liste d’attesa: per una visita cardiologica si arrivò a 67 giorni, per una visita ginecologica a 47 giorni, per una risonanza magnetica fino a 80 giorni. Nel frattempo, metteva il turbo il business della cosiddetta white economy: il sistema degli affari privati, diretti o indiretti, macinati letteralmente sulla “pelle” (cioè sulla salute) dei cittadini.

Nel periodo 2013-2017, le famiglie italiane videro aumentare del 9,6 per cento le spese private. Sempre nel quinquennio in questione, la spesa sanitaria pubblica è diminuita dal 78,5 per cento al 75,2 per cento, sul totale, mentre quella sanitaria privata è si è incrementata dal 21,5 al 24,8 per cento. Ed è anche per questo che siamo arrivati totalmente impreparati alla sfida pandemica. Ma non è che poi le cose siano migliorate. Secondo un recentissimo monitoraggio della spesa sanitaria pubblicato a fine 2023 dalla Ragioneria dello Stato, la spesa sanitaria a carico dei cittadini è passata dai 28,13 miliardi del 2016 ai 40,26 miliardi nel 2022 con una impennata, solo nell’ultimo anno, dell’8,3%. La spesa out of pocket (pagata di tasca propria dagli italiani e non rimborsata dal Ssn) era pari a 30,48 miliardi nel 2017, 32,29 miliardi nel 2018, 34,85 miliardi nel 2019, 30,79 miliardi nel 2020 e 37,16 nel 2021.

Ora, se tutti questi aridi numeri ci dicono che, negli ultimi tre lustri, quello dei tagli alla sanità è stato uno sport ampiamente praticato da tutti i governi succedutisi alla guida del paese – e se quei governi sono stati, per il 90 per cento, dominati dalla sinistra – come può oggi la sinistra seriamente pensare di intestarsi una battaglia a difesa del Ssn? I conti non tornano, in tutti i sensi.

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