Non solo l’ampliamento della cooperative compliance con il fisco alle aziende con fatturato di almeno 750 milioni, destinati a scendere fino a 100 nel 2028. Nel sesto decreto attuativo della delega fiscale del governo Meloni, che potenzia a partire dal 2024 il regime di adempimento collaborativo oggi riservato ai big, spunta anche un “regime opzionale” per i contribuenti privi dei requisiti richiesti per aderire a questi accordi preventivi con le Entrate. Nei fatti, dunque, l’istituto sarà aperto anche alle piccole e medie imprese che adottano volontariamente un sistema di rilevazione e controllo dei rischi fiscali, le quali in cambio otterranno la non punibilità per il reato di dichiarazione infedele e la riduzione a un terzo delle sanzioni amministrative a cui si applicherà anche un tetto massimo pari al minimo edittale.

Lo schema di provvedimento non fissa alcun criterio particolare per esercitare l’opzione. Si limita a stabilire che “i contribuenti che non possiedono i requisiti per aderire al regime di adempimento collaborativo di cui all’articolo 7 possono optare per l’adozione di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, in base a quanto previsto dall’articolo 4, dandone apposita comunicazione all’Agenzia delle entrate”. Solo una comunicazione, dunque. In attesa che un futuro decreto del Mef stabilisca i nuovi impegni reciproci di amministrazione finanziaria e imprese aderenti, sembra venir meno in questi casi il presidio ex post svolto oggi dal fisco sulla “ragionevolezza e proporzionalità” del sistema di controllo dei rischi messo in campo dalle aziende.

L’unico paletto, contenuto all’articolo 4, consiste nel fatto che il sistema di gestione del rischio fiscale dovrà essere certificato da professionisti indipendenti che ne attesteranno l’aderenza alle linee guida stabilite dalle Entrate. “A prima vista, l’impressione è che la funzione di controllo dell’adeguatezza delle misure adottate dal contribuente venga appaltata a professionisti privati“, commenta Alessandro Santoro, docente di Scienza delle finanze all’università Bicocca e presidente della Commissione che scrive la Relazione sull’economia non osservata e l’evasione. “Bisognerà ora capire quali soggetti potranno aderire, se ci sono dei requisiti impliciti e che ruolo avrà l’Agenzia delle Entrate”.

Di sicuro la novità piacerà agli studi di commercialisti e avvocati, per i quali si spalancano le porte di un notevole business. Le pmi infatti saranno incentivate a pagare la certificazione del “Tax control framework” per ottenere i benefici connessi al regime opzionale. E in particolare la causa di non punibilità per dichiarazione infedele (relativa ai soli ricavi) nel caso emerga una violazione delle norme tributarie ma l’azienda abbia preventivamente informato l’Agenzia di aver ravvisato rischi fiscali nella propria condotta. Un trattamento di favore uguale a quello che viene introdotto ex novo per le grandi imprese dotate dei requisiti per l’adesione alla “normale” cooperative compliance.

Di per sé l’adempimento collaborativo per migliorare i rapporti con i grandi contribuenti e prevenire le violazioni fiscali è previsto e raccomandato a livello Ocse e adottato in molti Paesi, dalla Danimarca agli Usa. L’Italia l’ha disciplinato nel 2015 e al momento ne usufruiscono meno di 100 gruppi, da Barilla a Unicredit passando per Ferrero e Intesa. Ma con l’introduzione del regime opzionale si andrebbe ben oltre. Meno controverso l’ulteriore vantaggio offerto dal decreto a chi aderisce all’adempimento collaborativo standard: lo “scudo“, in quei casi, si applicherà anche alle condotte risalenti agli anni precedenti. Basterà comunicare i relativi rischi fiscali “in modo esauriente” prima di essere raggiunti da accessi, ispezioni, verifiche o accertamenti e indagini per godere di un dimezzamento delle sanzioni, che anche in questo caso si fermeranno comunque al minimo edittale.

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