Rampolli di ‘ndrangheta che pensano di poter fare quello che vogliono. Anche violentare ripetutamente in gruppo due minorenni. È una storia feroce quella che si è consumata a Seminara, in provincia di Reggio Calabria, una cittadina nella Piana di Gioia Tauro che una quindicina di anni fa è stata insanguinata da una faida tra cosche rivali. Stamattina il blitz della polizia di stato che ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip su richiesta del procuratore di Palmi Emanuele Crescenti: tre giovani, due dei quali figli di un boss detenuto da tempo, sono finiti in carcere mentre per uno, ancora irreperibile e legato da vincoli di parentela ad un amministratore locale, sono stati disposti gli arresti domiciliari.

L’operazione è scattata a Seminara ma anche fuori dalla Calabria a Preganziol (in provincia di Treviso), Cislago (Varese) e Desio (Monza Brianza). L’accusa è violenza sessuale aggravata. Lo stesso reato che la Procura di Palmi contesta ad altri 16 indagati, di cui 4 minorenni. Nei loro confronti, il pm ha disposto una perquisizione finalizzata al sequestro di diversi dispositivi elettronici, informatici e di telefonia mobile nel tentativo di trovare altre tracce delle violenze. Le vittime, che non hanno denunciato e che, in questo momento, la polizia sta interrogando, hanno subito angherie ininterrottamente dal 2022 ad oggi. Violenze che, grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, gli inquirenti hanno ascoltato quasi indiretta perché i soggetti arrestati stamattina erano sotto indagine per altri reati.

Una ragazza ha da poco compiuto 18 anni. L’altra diventerà maggiorenne a breve. Erano minorenni, però, quando sono state violentate dal branco di cui faceva parte anche il ragazzo di una delle due che ha subito abusi in maniera reiterata dall’estate 2022 mentre l’altra è stata violentata in almeno un’occasione. Nel corso della conferenza stampa, il vicario della questura Maria Grazia Milli ha parlato di “reato odioso”. “Un’indagine che ci lascia il dolore di lavorare su questi reati raccapriccianti” è stato, invece, il concetto utilizzato dal procuratore di Palmi Emanuele Crescenti: “Le parti offese non hanno denunciato i fatti – ha spiegato il magistrato – ma abbiamo seguito in diretta le violenze del branco che, a causa dei legami familiari, ha le stimmate della criminalità organizzata.

La violenza dei clan sta sullo sfondo di una situazione ambientale che, comunque, subisce la cappa della criminalità organizzata anche sotto il profilo della personalità e della titolarità dei soggetti. Ma è un fatto che emerge tra le righe dell’indagine. Ci troviamo in una zona particolarmente ristretta dove i rapporti, che di base dovevano essere di affetto, si sono trasformati. Lavoreremo per verificare se ci sono altre vittime oltre alle due che abbiamo individuato e per le quali il giudice ha riconosciuto la sussistenza di prove che noi riteniamo essere molto forti in questo momento. Lavoreremo se ci sono altri episodi o altre vittime”. L’aspetto più inquietante è proprio questo e traspare dalle dichiarazioni del procuratore Crescenti secondo cui “abbiamo notizie certe che il branco andasse alla ricerca di altre possibilità di attività dello stesso tipo”.

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