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Uccise la fidanzata con 57 coltellate, ma Dimitri Fricano va ai domiciliari dopo appena sei anni: “La sua obesità è incompatibile col carcere”

Uccise la fidanzata con 57 coltellate, ma Dimitri Fricano va ai domiciliari dopo appena sei anni: “La sua obesità è incompatibile col carcere”
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Ha ucciso la sua fidanzata Erika Preti con 57 coltellate e per questo è stato condannato a trent’anni di carcere, di cui appena sei scontati. Ma da tre giorni il 35enne Dimitri Fricano è uscito dal penitenziario torinese delle Vallette per espiare il resto della pena agli arresti domiciliari nella sua casa di Biella. Il motivo? La sua condizione di obeso non è “compatibile con il regime carcerario“. È la sintesi delle argomentazioni con cui il Tribunale di Sorveglianza di Torino ha accolto il ricorso, riportate dall’edizione locale di Repubblica. Pesando duecento chili, scrivono i giudici, Fricano “non può camminare, se non con le stampelle” e “non può uscire dalla sua cella perché in carrozzina non riesce a spostarsi. Glielo impedirebbero anche le barriere architettoniche” interne al carcere Lorusso e Cutugno del capoluogo piemontese. La mancanza di attività fisica, unita alla sua condizione di fumatore, fa perciò sorgere un “pericolo di vita legato al rischio cardiovascolare”.

Il problema dell’obesità è irrisolvibile in carcere, sostiene il tribunale, perché Fricano non riesce a seguire una dieta: “Nel corso della restrizione si è riscontrato un ulteriore aumento ponderale, in quanto il paziente non può disporre di un pasto ipocalorico (non dispensato dalla cucina dell’istituto) e non segue le indicazioni dietetiche”. Inoltre, “depressione e detenzione lo spingono a consumare in maniera compulsiva alimenti controindicati”. C’è infine un fattore legato alla dignità della detenzione: la pena, secondo la Sorveglianza torinese, non è “funzionale alla rieducazione” del condannato, imposta dall’articolo 27 della Costituzione, se Fricano, costretto a stare in cella è “immobilizzato nell’ozio e sta nella passiva sopportazione di una condizione di inferiorità rispetto agli altri detenuti”.

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