Ventitré minuti di discorso. Profondo e dritto al punto: quando si parla di migranti non bisogna perdere di vista la bussola dell’umanità. A pronunciarlo di fronte al Parlamento europeo l’attrice Cate Blanchett, ambasciatrice di buona volontà per l’Unhcr.

“Io non sono siriana non sono ucraina non provengo da Israele o dalla Palestina. Non sono politica e neppure un opinionista. Ma sono una testimone. Ho visto con i miei occhi il costo umano della guerra, della violenza e della persecuzione quando ho visitato rifugiati in tutto il mondo”, esordisce l’attrice australiana nel suo intervento.

Il primo pensiero, inevitabile, va alla situazione in Medio Oriente: “Nelle ultime settimane abbiamo tutti assistito con orrore alla continua violenza in Israele e a Gaza. Il conflitto ha causato – e continua a causare – migliaia di vite innocenti. All’inizio di questa settimana, l’Alto Commissario dell’Unhcr ha chiesto – insieme a diverse organizzazioni umanitarie – un ‘cessate il fuoco umanitario immediato‘. E la liberazione immediata di tutti i civili tenuto in ostaggio”. Ma non solo. “Purtroppo, anche se questi eventi dominano comprensibilmente le notizie – prosegue Blanchett – questa non è l’unica violenza che affligge il nostro mondo, e queste non sono le uniche vite innocenti che vengono perse”.

“È in corso una guerra in Ucraina, in Sudan, e nei tempi più recenti le prime pagine dei giornali ci hanno parlato di violenze in Etiopia, in Afghanistan…e sono sempre di più gli innocenti a soffrire e a dover scappare – spiega ancora – Al livello globale l’emigrazione forzata ha superato i 114milioni di persone. Molte persone trascinate in questo vortice hanno intrapreso dei viaggi pericolosi per cercare la sicurezza e al loro arrivo troppe di queste persone hanno scoperto di essere indesiderate e sono state respinte e usate come capro espiatorio”. L’invito dell’attrice, che racconta di aver visitato diversi Paesi e di aver conosciuto molti rifugiati o richiedenti asilo è a “respingere un mito pericoloso e fin troppo diffuso: il mito secondo cui ogni singolo rifugiato mira all’Europa”.

Sottolineando che la sfida dei rifugiati non è nulla di nuovo e che c’è chi dice che “la convenzione sui rifugiati del ’51 è di un’altra epoca” e chi sostiene “che queste migrazioni sono troppo pesanti”, Blanchett osserva: “A parte il fatto che manca di empatia e compassione, quest’argomentazione dimostra che non si prende in considerazione la storia”.

Ma c’è di più. Nel panorama dei migranti, osserva ancora l’attrice australiana, si rischia anche di fare distinzioni. “In Europa oggi in alcuni casi riconosciamo che scappare dalla propria casa e rifarsi una vita è inevitabile e sentiamo istintivamente l’obbligo di aiutare queste persone, in altri casi, forse perché conosciamo poco delle violenze che avvengono lontano da qui, siamo più sospettosi”. È così che molti migranti finiscono in un limbo, dice ancora, “bloccati tra un luogo da cui sono stati obbligati a scappare e un luogo che si rifiuta di farli entrare“. Così molti migranti muoiono.

“Mi chiedo – prosegue l’attrice – se chi mette in discussione la convenzione sui rifugiati del ’51 e pensa che la soluzione sia costruire muri o usare il filo spinato per risolvere la questione rifugiati abbia mai incontrato o parlato con un rifugiato o abbia mai capito il costo umano delle politiche dannose come l’esternalizzazione“. Pratiche come l’esternalizzazione, avverte l’attrice australiana, sono inefficaci e disumane e hanno “sprecato miliardi di dollari dei contribuenti” oltre che essere ormai “un approccio screditato e in gran parte abbandonato”

“Nessuno – conclude l’attrice raccontando le storie di alcuni rifugiati che ha conosciuto – mette i propri figli in una barca a meno che l’acqua e il mare non siano più sicuri della terraferma”.

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