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Non serve essere progressisti per voler salvare il pianeta: con chi ballerà mai la destra?

Non serve essere progressisti per voler salvare il pianeta: con chi ballerà mai la destra?
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In questi giorni Giorgia Meloni s’affanna per mostrare di volersi mantenere saldamente nel campo anche ideologico dei conservatori. Da Vespa in tv ha citato come esempio di coerenza il suo personale contributo al G20 con un accorato appello a evitare i rischi dell’Intelligenza Artificiale. Poi ha dato vita al solito duetto con Orban e al Budapest Demographic Summit ha scomodato pure Dio per ribadire l’importanza di una difesa della famiglia tradizionale e dell’inversione del trend di denatalità.

Poco prima dell’estate il/la nostro/a premier aveva incontrato a palazzo Chigi il tycoon americano Elon Musk, che è in prima fila tra i sostenitori di quell’ideologia neo-utilitarista che viene anche detta ‘altruismo efficace’ o ‘longtermism’. Contrapponendosi esplicitamente alla cultura dominante cosiddetta progressista, liberal e ‘woke’, ma anche a tutte le residue sensibilità solidaristiche ed ecologiste, Musk and co. sostengono che gli occidentali dovrebbero concentrare gli sforzi sulla salvaguardia di se stessi, ovvero della civiltà umana, impegnando tutto nell’inversione dei trend demografici negativi e nella formazione di nuove generazioni iper-competenti, in grado di affrontare i rischi connessi all’avanzata dell’Intelligenza Artificiale.

Questo nodo ideologico, che porta a pensare che sia inutile salvare il salvabile del pianeta stesso di oggi, che si tratti di piante, di animali o di interi popoli comunque già troppo sfavoriti da un destino implacabile, segna la sorte anche della battaglia contro l’egemonia culturale della sinistra che la nostra destra ha proclamato di voler intraprendere, mostrando peraltro una certa goffaggine lottizzatoria.

Senza parlare ancora una volta dei soliti cinema o televisione, oppure dei polverosi teatri lirici e di prosa, dove in fondo è ancora la parola al centro del discorso, basta prendere l’esempio del balletto, della danza contemporanea e in generale del cosiddetto super-genere delle ‘arti perfomative’, ancora oggi davvero vivace.

Dagli Stati Uniti o lungo l’asse del Reno, dove nessuno può sostenere che vi sia stata un’egemonia culturale ‘marxisteggiante’ e un peso dell’intellighenzia di matrice comunista paragonabili a quanto successo in Italia, si nota in una frazione di secondo l’abisso che separa la maggioranza degli artisti di talento da ideologie neo-conservatori e post-utilitariste. Sono le sensibilità ecologica e d’inclusione a farla da padrone.

Basti citare due piccoli esempi di questi giorni: a Wuppertal, cittadina della Renania che ha ospitato Pina Bausch e la sua rivoluzione del teatro-danza, è appena nato un nuovo festival, Fragile, rivolto in particolare alle giovani generazioni, teso a valorizzare solo proposte rigorosamente eco-sostenibili in grado di mostrare ‘i poteri speciali delle arti perfomative nel promuovere l’empatia universale’; per l’apertura è stato scelto ‘L’œil, l’oreille et le lieu’, dedicato al mondo degli uccelli da salvare e firmato da Michèle Noiret, una coreografa belga di primissimo livello, che ha inventato la dance-cinema e ha appena riproposto al bel festival Oriente Occidente di Rovereto un suo straordinario apologo sulla fine del mondo.

Ancora: Transart di Bolzano s’inaugura con una performance politica e femminista delle Pussy Riot russe, per poi presentare come ospite di punta Madame Nielsen, nota performer transgender danese che animerà anche una sorta di spettacolo-rivolta ecologista.

Sembrano svoltare all’impegno persino artisti performativi più poetici e astratti, che finora hanno rinunciato a richiami diretti sulle tematiche di genere o ai messaggi politici: pensiamo agli straordinari Peeping Tom, che ora s’interrogano sul senso di fare ancora spettacolo di fronte al mondo in rovina, con la prima alla Biennale danza di Lione di ’S 62° 58’, W 60° 39’ (saranno poi a Torino Danza e ai Teatri di Reggio Emilia).

Se anche volessero solo ballare per un giro, i neo-conservatori al potere non saprebbero proprio con chi farlo e forse dovrebbero cominciare a ragionare davvero a lungo termine per misurarsi con le sfide della cultura e dell’arte.

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