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Condannato a quattro anni Rui Pinto, l’hacker portoghese che svelò i Football Leaks. Per ora beneficerà di una sospensione della pena

Condannato a quattro anni Rui Pinto, l’hacker portoghese che svelò i Football Leaks. Per ora beneficerà di una sospensione della pena
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Una condanna a quattro anni di reclusione per il reato di pirateria e tentata estorsione. E’ questa la pena inflitta da un tribunale di Lisbona nei confronti di Rui Pinto, l’hacker portoghese che fece esplodere lo scandalo dell’inchiesta Football Leaks. Nel 2016, infatti, in collaborazione con i giornalisti del consorzio EIC – European Investigative Collaborations, Pinto aveva piratato e diffuso a mezzo stampa documenti che rivelavano operazioni finanziarie dubbiose e casi di evasione fiscale milionaria da parte di alcune società del mondo del calcio. L’hacker aveva inizialmente rubato i dati alle imprese con l’obiettivo di estorcere denaro.

Arrestato a Budapest nel gennaio del 2019, il giovane pirata informatico aveva però beneficiato – per alcuni capi di imputazione minori – della nuova legge di amnistia e indulto, approvata dal parlamento portoghese, ad agosto, in occasione della visita del Papa a Lisbona. La sentenza nei suoi confronti era stata dunque rinviata, fino a quando, l’11 settembre, è arrivata la condanna del tribunale di Lisbona. Tuttavia l’hacker, diventato in questi anni un collaboratore sia della giustizia che della stampa internazionale, per il momento eviterà il carcere grazie alla sospensione della pena. Proprio come l’avvocato Aníbal Pinto, anche lui condannato per pirateria e tentata estorsione – ma a due anni – con pena ugualmente sospesa. I due dovranno inoltre pagare indennizzi per un totale di circa 20 mila euro alle imprese colpite dalle effrazioni informatiche e dalle estorsioni: la società di avvocati PLMJ e il fondo finanziario Doyen, di cui è proprietaria la famiglia kazaka Arif.

Nella lettura della sentenza, la giudice Margarida Alves ha escluso l’esistenza di complici e ha ritenuto “inconcepibile una riduzione della responsabilità penale in virtù di un presunto interesse pubblico” delle informazioni raccolte e diffuse da Pinto. “Il diritto alla riservatezza delle comunicazioni prevale sul diritto di libertà di espressione”, ha aggiunto la giudice. “Se non tutto è lecito per lo Stato, molto meno lo sarà per un qualunque cittadino”.

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