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Via Poma 33 anni dopo: così l’Italia cominciò a seguire le indagini sull’assassinio di Simonetta Cesaroni. Un libro ripercorre la storia del delitto

di Alessandra De Vita

Via Poma-Anatomia di un delitto è il libro-inchiesta di Igor Patruno e Luca Dato per Armando editore, in uscita il 10 agosto. Ripercorre tutte le fasi dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, la ragazza di Roma Sud che trovò la morte, il 7 agosto del 1990, in un palazzotto di Prati, sede dell’Aiag, l’Associazione italiana degli ostelli della gioventù. Un libro consegnato dagli autori anche alla procura di Roma: contiene atti di indagine inediti con testimonianze, alibi poi caduti, tracce di Dna mai riscontrate e intercettazioni che risalgono ai giorni dell’omicidio. Nel corso degli ultimi 33 anni ci sono stati tre indagati, poi tutti prosciolti e nessun colpevole. L’assassino della ragazza di Cinecittà è ancora a piede libero. Quasi un anno fa sono state riaperte le indagini dalla Procura di Roma, dopo la presentazione di un secondo esposto da parte di Paola Cesaroni, sorella della vittima. In quell’esposto si indicano alcuni soggetti maschili che avrebbero potuto essere in via Poma il 7 agosto e il cui alibi non è stato mai verificato finora. Ilfattoquotidiano.it anticipa qui in esclusiva un brano del libro di Patruno e Dato.

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“Orrendo delitto nel centro di Roma. Una donna di 21 anni, Simonetta Cesaroni, è stata violentata e uccisa nell’ufficio dove lavorava in via Carlo Poma nel centrale rione Prati. Il corpo è stato ritrovato dalla sorella della vittima”. Così l’8 agosto il Tg1 diffonde la notizia, così il delitto di via Poma entra nell’immaginario degli italiani. Il primo servizio televisivo era andato in onda alle 14, nel Tg Regione, mostrando una delle quattro foto, oggi facilmente reperibili attraverso i motori di ricerca della rete, divenute icone di questa storia maledetta: una ragazza in costume bianco, distesa sulla sabbia di Passoscuro, con lo sguardo di chi si mette in posa solo per assecondare chi la sta fotografando. Il quotidiano la Repubblica aveva fatto in tempo ad inserire un pezzo nella cronaca locale con eccesso di particolari scabrosi, per lo più inesatti. Si sa: i cronisti della nera vanno di fretta più per necessità che per vocazione e, quando le informazioni scarseggiano, non si fanno troppi scrupoli a colorire i pochi particolari noti.

La fame estiva di notizie ha certamente avuto un ruolo nella mediatizzazione del delitto, ma solo fino ad un certo punto. Quell’estate i fatti con i quali riempire le pagine dei giornali non mancavano certo: altri due omicidi nella capitale, una guerra sul punto di scoppiare e il timore di un imminente aumento della benzina. Ma si tratta di vicende con poco appeal e di timori ancora lontani e indefiniti. La percezione dell’omicidio di Simonetta Cesaroni ha un altro destino. L’interesse per la morte di una ragazza qualunque, figlia di un tramviere e di una casalinga, ammazzata in un palazzo della Roma bene, cresce esponenzialmente fin da subito. Non ci vuole molto a capirlo: quello di via Poma è un omicidio con tutte le caratteristiche del noir a tinte forti. La mobilitazione delle migliori firme della cronaca italica è pressoché totale. Nei commenti e tra le righe emergono da subito gli stereotipi che segneranno per sempre il modo di raccontare questa storia. La città spopolata, la palazzina deserta, l’ufficio vuoto e il caldo insopportabile diventano i leitmotiv ossessivi di ogni ricostruzione giornalistica.

Nei pezzi, annunciati da titoli cubitali, sembra quasi di scorgere la Roma in bianco e nero, un po’ surreale, attraversata dalla Lancia Aurelia di Bruno Cortona nel film Il sorpasso. Le scene iniziali della pellicola di Risi erano state girate alla Balduina, un altro quartiere della Roma bene come Prati. Gli stereotipi sono talmente forti da diventare, almeno nell’immaginario collettivo, motivazioni plausibili. In agosto la città si svuota, la gente per bene se ne va in vacanza, gli spazi urbani restano abbandonati e in questa terra di nessuno vagano disperati e balordi. La canicola estiva, l’afa, la solitudine urbana, sembrano divenire allora le condizioni scatenanti di raptus altrimenti inspiegabili, di accadimenti bestiali e gesti insensati, come se la città deserta e il caldo torrido fossero motivi sufficienti di tragedie ed efferatezze. Di giovani donne, giovani o meno, ne muoiono tante e troppe e restano senza giustizia.

A Roma poi di donne uccise, o scomparse, senza colpevole ce ne sono state parecchie e sulla maggior parte di loro è sceso il silenzio. Tuttavia, della ragazza ammazzata in via Poma si è continuato a scrivere e parlare per tutto il tempo trascorso da quel 7 agosto del 1990 e non solo per le novità delle inchieste emerse a singhiozzo. “È come per i romanzi gialli”, ha scritto Carlo Lucarelli, “ambientazione, personaggi e dinamiche funzionano meglio di altri”. (…) “C’è qualcosa di inquietante nel giallo di via Poma”, scriverà Giuseppe Di Stefano a poche settimane dal delitto, “una impressione vaga, impalpabile, di incompiutezza, di confusione, di caccia al sensazionalismo a cui nessuno riesce a sottrarsi. Perché quello di Simonetta Cesaroni è un delitto strano, che rischia di trascinarsi nel tempo fino alla consunzione naturale, senza che si arrivi a una conclusione. (…)”. Nessuno ha mai creduto che a muovere l’interesse della gente comune, in questo intricato giallo, siano ragioni morbose. Simonetta Cesaroni era una ragazza qualunque. Una delle tante ragazze di questa città che non è priva di insidie, soprattutto di sera. Perciò era prudente. Perciò informava con pignoleria la famiglia dei suoi più piccoli spostamenti, telefonava, lasciava il suo recapito, teneva aggiornati i genitori dei contrattempi e dei ritardi. Eppure… Eppure, tutto questo non è bastato per sottrarla alla furia dell’assassino, al lucido rituale con cui si è accanito sul suo corpo, quasi certamente quando era già morta.

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