Sul salario minimo qualcosa si muove o si tratta di un “trappolone per rinviare la discussione”, come ipotizza il segretario di Più Europa Riccardo Magi? O per spaccare le opposizioni? Per rispondere alla domanda bisognerà attendere le mosse di Giorgia Meloni. La premier al momento non ha smentito l’articolo di Repubblica stando al quale sarebbe disposta ad “aprire al dialogo” sull’argomento. Che non significa dare il via libera alla proposta presentata dalle opposizioni unite (tutte tranne Italia Viva, come noto) ma solo rispondere, in qualche modo, all’appello “molto garbato” di Carlo Calenda“. Da Fratelli d’Italia arrivano però segnali che non indicano certo la volontà di superare l’attuale muro contro muro: il presidente della commissione Lavoro della Camera, Walter Rizzetto, a LaPresse dice che sono le opposizioni a dover concedere un rinvio dell’esame della loro proposta a settembre insieme a “un ragionamento più ampio su salari e lavoro”. Altrimenti si andrebbe alla votazione dell’emendamento soppressivo prima in commissione e poi, probabilmente, anche in aula. Non proprio un segnale di pace. E poco dopo la linea è stata confermata da Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera.

“L’apertura c’è sempre stata”, sostiene Rizzetto. “Schlein convinca i suoi deputati (al rinvio ndr), perché il problema è che Pd e 5 stelle stanno facendo un braccio di ferro inutile per una cosa che parte tra un anno e mezzo, a fine 2024, senza tra l’altro prevedere le coperture finanziarie”, attacca poi l’esponente di FdI. Ma la minoranza dal canto suo chiede da giorni che sia il centrodestra a ritirare l’emendamento soppressivo. E la richiesta è stata ribadita sabato dalla segretaria del Partito democratico, che si dice disponibile a un incontro con la presidente del Consiglio, “anche domattina”, per un confronto nel merito. Ma “allora la maggioranza ritiri l’emendamento soppressivo“, ha detto Schlein. Anche per Arturo Scotto, deputato e capogruppo del Partito democratico in commissione Lavoro, “se ci hanno ripensato e vogliono confrontarsi, il macigno da rimuovere è quell’emendamento. E va fatto prima di martedì. Altrimenti sarà chiaro il bluff: hanno visto i sondaggi e si sono spaventati. E ora vogliono prendere tempo. Ma tempo non ce ne è innanzitutto per tre milioni e mezzo di lavoratori”. D’accordo il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni: “Meloni si dice disposta a discutere di salario minimo? Se davvero vuole il confronto, metta allora la sordina alle chiacchiere ignoranti di Tajani, Musumeci e degli altri esponenti della maggioranza e ritiri l’emendamento soppressivo dei suoi. Altrimenti siamo di fronte al solito gioco delle tre carte della maggioranza, la solita truffa ai danni dei cittadini perbene di questo Paese”.

Cosa resta, dunque, della suggestione che un dialogo sia possibile? Le premesse sono quelle che la presidente del Consiglio ha spesso ribadito quando ha spiegato la sua contrarietà alla misura. E cioè la paura che il salario minimo per legge diventi un “parametro sostitutivo” e non “aggiuntivo” e insomma porti a un riallineamento al ribasso. Cosa che però non è successa nei Paesi occidentali che hanno già una paga minima garantita, dalla Francia alla Germania, dagli Usa al Regno Unito. Ma la capa del governo dice di essere “laica” sull’argomento e vuole “approfondire la materia nei prossimi giorni”, spiega Repubblica, “come finora non è riuscita a fare”. Un leggero cambio di linea forse frutto anche degli ultimi sondaggi: sette italiani su dieci sono a favore del salario minimo. E i sì prevalgono anche tra gli elettori dei partiti di maggioranza.

Dalle parti del M5s – prima forza a porre il tema già nelle precedenti legislature – tutto tace, forse per scetticismo. Calenda, che nei giorni scorsi aveva inviato una lettera sull’argomento a Meloni, si dice “felice che ci sia un’apertura” e su Twitter ribadisce la volontà di “sospendere le polemiche e provare a fare insieme qualcosa di utile per l’Italia”. Magi dà voce a chi punta sul “giochetto” il cui obiettivo sarebbe “togliersi dall’impaccio di dover spiegare perché hanno detto no a una misura di civiltà e allo stesso tempo far stare buone le opposizioni fino a che il tema non sarà caduto nel dimenticatoio. Se davvero siamo di fronte a una retromarcia enorme della maggioranza e del governo, e Meloni è pronta al dialogo, dimostri che questa apertura è autentica e faccia ritirare l’emendamento soppressivo”.

Nel quadro degli ultimi mesi la cautela è il minimo sindacale perché Meloni dovrebbe portarsi dietro il partito per non parlare del resto della maggioranza, che consta di varie sensibilità. Ha fatto rumore per esempio la frase di Antonio Tajani che ha definito il salario minimo una misura da “Unione Sovietica” (dimenticando peraltro i vari Paesi europei, liberali e democratici, che hanno già una legge in materia). Ed è proprio di ieri l’ultima polemica sollevata dal ministro Nello Musumeci che aveva parlato di assistenzialismo, facendo forse confusione con altre misure sociali.

Oggi il primo a parlare è stato invece Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, la quarta gamba della maggioranza. E ribadisce il suo no: “Bisogna scegliere lo strumento giusto e lo strumento giusto non è il salario minimo, ma la riduzione del cuneo fiscale, costi zero per gli aumenti di stipendio e un’alleanza tra lavoratori e imprese per il massimo salario”. Anche Tajani parlando da Paestum conferma la sua linea: “Il salario minimo tende ad abbassare e non a far crescere“. Ma aggiunge qualche nuova sfumatura al suo pensiero: “Non è che sono contro un salario garantito, sono per un salario ricco. Dico addirittura che chi non ha la contrattazione collettiva, questo sì si può fare per legge, bisogna adeguarlo al minimo della contrattazione collettiva“. Una idea che sembra assomigliare molto a una della disposizioni già previste proprio nella proposta dello opposizioni.

Il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia chiede alla premier Meloni di fermare la sua maggioranza: “A questo punto ci aspettiamo che la destra riapra il confronto parlamentare e per fare questo è necessario che Giorgia Meloni faccia ritirare l’emendamento soppressivo della nostra proposta. E che, magari, tenga più a bada le esternazioni senza senso dei suoi ministri che hanno duramente criticato il salario minimo”. La vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo, auspica invece che non si tratti di “un’apertura finta, dettata dai sondaggi”. “Servono atti concreti – aggiunge – perché sul tema del lavoro povero, che tocca la vita di più di 3 milioni di persone, non accettiamo giochetti propagandistici“. Scettica anche Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria Pd: “Se non è l’ennesima scusa per rimandare il tema alle calende greche, la maggioranza ritiri l’emendamento soppressivo e la Meloni fissi subito un luogo e un calendario credibile di confronto. Noi ci siamo”.

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