di Monica Valendino

La batosta alle amministrative presa dal Pd dovrebbe far capire definitivamente una cosa. Quel che fu il Partito Comunista Italiano oramai da lustri è solo un’accozzaglia di politici buoni solo per cercare una cosa: il potere. Insomma una DC 2.0. Del resto la sua genesi va ricercata proprio nella ex Balena Bianca.

Quando il neonato PDS di Achille Occhetto, autonominatosi “gioiosa macchina da guerra”, nel 1994 fu sconfitto da Berlusconi, capì in maniera definitiva che la sinistra (quella vera) in Italia non poteva vincere. Nella Prima Repubblica perché isolata e frammentata (oltre che minacciata da poteri come Gladio che, anche se avesse vinto, lo avrebbero impedito); nella Seconda Repubblica la propaganda nata proprio con B. (le favolette sui comunisti mangia bambini) ha impedito di fatto di evolversi e tutto è rimasto a quella primavera del ’94. Quando, più o meno nel momento in cui Roberto Baggio spedì alle stelle il rigore decisivo del mondiale americano, a Roma si riunì il politburo del partito con Occhetto oramai sfiduciato e un rampante Massimo D’Alema che aveva già in mente cosa fare.

Se Maometto non va alla montagna, la montagna andrà da Maometto. Constatata l’impossibilità di creare un polo di sinistra ci si è chiesti come riuscire a portare i voti dell’ex Dc dalla propria. Così il Uolter (cit. Paolo Villaggio) Veltroni ebbe l’ideona: far affluire la “Margherita” dell’uomo per tutte le stagioni, Francesco Rutelli, dentro il PDS ed ecco spuntato “l’Ulivo” con “Prodi for president”, uno che con la sinistra non aveva in comune nemmeno il mignolo dell’omonima mano.

Ma il piano funzionò e grazie alla coalizione con Rifondazione Comunista le elezioni del 1996 furono vinte. Solo che quando Fausto Bertinotti decise che appoggiare un Governo che iniziava già a rappresentare i poteri da sempre combattuti non era il caso e staccò la spina, a Botteghe Oscure intuirono che serviva l’ulteriore svolta, verso il centro ovviamente.

Addio PDS, rimasero solo le ultime due consonanti (fino al 2008) quando l’uomo veltroniano realizzò il suo sogno: portare in Italia il partito Democratico americano. Lo ha fatto talmente bene che ad oggi ne è la fotocopia rimpicciolita ma riuscitissima. Peccato che negli Usa “essere di sinistra” significa tutt’altro rispetto al Vecchio Continente e in Italia questo partito ha governato rinnegandosi in tutte le maniere e appoggiando gente come Monti, Draghi, Gentiloni, insomma il fior fiore delle lotte popolari e sindacali.

Ora: continuare a definire di sinistra questa cosa che si atteggia come tale è ridicolo, al massimo è l’ala Dorotea 2.0 della vecchia DC.

Gli elettori capiscano una volta per tutte che il passato è passato e che per cercare una alternativa alla destra (guarda caso la sinistra) serve guardare altrove. Ai 5s di Conte se questi decidesse una volta per tutte che serve mettere radici nei territori prima che a Roma, che parlare con Elly Schlein (o chi per lei) non è un progetto ma un suicidio assistito e che una coalizione alternativa si può creare perché persone che pensano “di sinistra” ce ne sono in giro. Persone che non hanno timore a dire basta armi e più stato sociale, basta privatizzazioni e uno stato presente nei settori chiave, basta dialogo forzato con le varie confederazioni e più lotta di classe.

Perché mai come oggi si è tornati a una società divisa in classi sempre più distanti tra loro. Decidere chi rappresentare non è solo ovvio, è necessario. Il Pd ha scelto la borghesia, ma c’è un’Italia (il 50 per cento di astenuti) che necessita di essere finalmente presa in considerazione.

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