Posto che l’acculturamento delle donne è irreversibile e in futuro deterranno sempre più potere e cultura al pari degli uomini, riguardo la maternità sarà definitivamente abbattuta l’ipocrisia che usa la “natura” a sostegno del fatto che per le donne, avendo un istinto materno, avere dei figli sia un destino ineluttabile. Sul sentimento innato e naturale dell’istinto materno si cominciano ad avere molti dubbi. La natura è, in verità, molto “snaturata”. E ciò che noi crediamo naturale è solo la conseguenza di un fatto culturale. Sono sempre più numerose le donne che scelgono di non avere figli, perché un figlio non è più il desiderio primario.

Dopo la pillola nel 1971, la medicina riproduttiva che con le sue tecnologie ha permesso la nascita di più di otto milioni di bambini in tutto il mondo sta portando un’altra rivoluzione culturale. Anche se l’orologio biologico delle donne segue un tempo kronos, il volere un figlio segue spesso un tempo kairos, il tempo giusto o opportuno. Un tempo giusto che spesso tuttavia non sostanzia il desiderio di un figlio nella sua realizzazione.

La libertà di scelta per una maternità consapevole, insieme ad una modificazione dei rapporti sentimentali e una crisi economica, hanno innestato un cortocircuito provocando una carestia di nuovi nati. Si fanno molti meno figli per paura del futuro, ma anche perché, nonostante gli uomini comincino ad occuparsene, l’allevamento, la cura e la loro educazione è ancora in gran parte sulle spalle delle donne. Sulle cui spalle grava anche la cura di persone fragili in una società sempre più anziana.

Agli Stati Generali della Natalità, tenuti l’11 e 12 maggio, Papa Francesco ha detto che solo i razzisti possono pensare che servono solo i bambini bianchi e di pura razza italiana, e che per salvaguardare tale razza sia buona cosa far morire affogati nel Mediterraneo migliaia di bambini che basterebbero ad annullare quel tasso negativo di natalità. Un pensiero sacro quello di Papa Francesco, che ha concluso il suo intervento con un’apologia della speranza: “La sfida della natalità è questione di speranza – ha detto – ma non si intenda per speranza un vago sentimento positivo sull’avvenire (…) ma una virtù concreta, un atteggiamento di vita (…)”. Concludendo, “a voi, che siete qui per trovare buone soluzioni, frutto della vostra professionalità e delle vostre competenze, vorrei dire: sentitevi chiamati al grande compito di rigenerare speranza, di avviare processi che diano slancio e vita all’Italia, all’Europa, al mondo, che ci portino tanti bambini.”

Nel giorno della ricorrenza della nascita di Mario Monicelli, mi sovviene un’intervista in cui il Maestro biasimava proprio quella stessa virtù teologale. La speranza è una trappola – diceva – inventata dai padroni, e da quelli che dicono che Dio… state buoni, state zitti e pregate che avrete un riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà. State buoni, tornate a casa, siete dei precari ma tanto vi riassumeremo, abbiate speranza. Mai avere speranza! La speranza è una trappola! E se da un Papa possono arrivare parole come quelle di Bergoglio, dalla politica mi aspetto parole concrete, che non parlino di etnia italica, che non discriminino i figli nati da Gpa, che per il governo Meloni non sono figli degni di cittadinanza perché non nati in una famiglia “naturale”. Un governo, questo di Meloni, che a febbraio 2023 ha riproposto la trasformazione del divieto, vigente ora in Italia della Gpa, in “reato universale”, ovvero punibile in Italia anche se commesso all’estero. Un governo che finge di non vedere una società ormai cambiata e che riguardo alla maternità è fermo a quello che considera il portato della natura come destino femminile costruito su un’ideologia patriarcale.

Una narrazione, quella di questo governo, che pontifica su una malintesa naturalità della famiglia, quando nella storia dell’umanità la condizione naturale su cui si fondava era il sistema della consanguineità: l’incesto era uno status naturale. Usare quindi la natura per accreditare la loro concezione di famiglia è un abbaglio che svela un nostalgico desiderio di autorità e ordine, in una società che si scompone e si aliena.

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