I “riformisti” del Pd mettono in mora Elly Schlein con una lettera-manifesto su Repubblica. “La segretaria Schlein ha pieno diritto di tentare di realizzare la piattaforma politico-culturale e programmatica con cui ha vinto il congresso. Noi, che abbiamo limpidamente avversato quella piattaforma, mettendo in evidenza il rischio di un regresso verso un antagonismo identitario incoerente con la natura stessa del Pd come partito a vocazione maggioritaria, abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di far vivere (e di far percepire all’esterno del partito) una visione, una cultura politica e una proposta programmatica distinta e, per molti aspetti, alternativa a quella di Schlein”, scrivono Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Giorgio Tonini, ex parlamentari dem ed rappresentanti dell’ala moderata del partito. “Abbiamo questo diritto”, proseguono, “perché la nostra cultura politica (espressione, al pari di quella di cui Schlein è portatrice, di quelle “grandi tradizioni” che, consapevoli della loro inadeguatezza, da sole, a costituire un nuovo quadro politico di riferimento per la società italiana, confluiscono nel Pd), è essenziale per comporre quella ideologia democratica che nel nostro tempo sta sprigionando – da Hong Kong all’Iran, dalla Cina all’Ucraina – la sua straordinaria forza emancipatrice”.

“Rendere visibile ed efficace la presenza riformista nel Pd è soprattutto un dovere”, sostengono Ceccanti, Morando e Tonini. “Innanzitutto perché questa presenza è in grado di migliorare le performance del partito nella gestione dell’agenda politica, condizionando la segretaria e la sua maggioranza sulle scelte fondamentali, grazie a concrete proposte di iniziativa politica. Dopo il Congresso, la segretaria ha sostanzialmente mantenuto una continuità sul rigoroso posizionamento euroatlantico rispetto all’aggressione russa in Ucraina. Al consolidamento di questa scelta – nel rapporto con il governo Meloni e con i cittadini italiani – dobbiamo e vogliamo attivamente concorrere, perché la collocazione europea e atlantica è la prima che definisce l’identità di un partito e la sua visione della funzione dell’Italia nel mondo. Quando invece Schlein sembra tentata – in tema di riforme istituzionali – dal rifugiarsi sull’Aventino, con il fallace argomento che non si tratterebbe di questione prioritaria nell’agenda del Paese, tocca a noi riformisti un’aperta contestazione di una scelta che finirebbe per trasferire gratuitamente alla destra un patrimonio di riformismo istituzionale costitutivo dell’identità stessa del Partito democratico”, aggiungono.

“Insistendo sulle riforme istituzionali come diversivo e sulla priorità della redistribuzione rispetto alla crescita”, concludono i “riformisti”, “il Pd potrà forse recuperare qualche punto percentuale a danno del M5s, ma non riuscirà a ridurre la distanza rispetto a Meloni sul terreno che conta davvero: la credibilità della proposta di governo. Il timore di non riuscire a modificare l’orientamento di Schlein non può tuttavia indurci al silenzio rassegnato della fase post-congressuale: c’è una larga parte dell’elettorato di centrosinistra che ha bisogno di un riferimento solido, e oggi non lo trova. I riformisti del Pd, con una visibile battaglia delle idee all’interno del partito, possono fornirglielo. È molto probabile che non si tratterà di una battaglia breve, accompagnata da risultati immediati. Anche per questo, è indispensabile che cominci subito, prima dell’estate, promuovendo un’occasione di confronto, aperto anche all’esterno del partito, per discutere, aggiornare e rilanciare un’ambiziosa agenda riformista”, concludono.

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