Per decenni a Napoli il giornalismo religioso ha avuto un solo sinonimo: Massimo Milone. Chi sognava di fare questo mestiere e di farlo ai massimi livelli della professione non poteva non guardare a quel simpatico cronista di carta stampata e tv che ha sempre saputo reinterpretare il giornalismo in chiave ecclesiale. Napoletanissimo in tutto fuorché nel tifo (non ha mai tradito il suo cuore rossonero), Milone ha sicuramente contribuito a scrivere una pagina fondamentale del giornalismo religioso. I suoi grandi maestri li ha incontrati nella Chiesa di Napoli: monsignor Luigi Maria Pignatiello e il cardinale Michele Giordano. In entrambi la sua aspirazione professionale ha trovato alimento per un giornalismo che, nella valorizzazione dei principi cristiani, fosse rigoroso e sapesse dare il giusto risalto alle notizie.

Dalla carta stampata alla tv, Milone ha sempre alimentato la sua passione per il giornalismo religioso. Determinanti per affinare la sua professione sono stati i passi mossi a largo Donnaregina, la Curia arcivescovile di Napoli, con i cardinali Corrado Ursi e Giordano. Quest’ultimo lo volle fermamente al suo fianco nel governo della Chiesa di Napoli come direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali dell’arcidiocesi partenopea. Una scelta controcorrente in un tempo in cui il laicato era visto ancora come una categoria di serie B nel mondo ecclesiastico, nonostante le aperture a dir poco rivoluzionarie del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Milone è rimasto accanto al cardinale Giordano fedelmente, anche quando le nubi improvvise dell’incredibile e infondata vicenda giudiziaria travolsero il porporato. Il giornalista imparò a scrivere una nuova ed etica pagina di giornalismo, con il rispetto che si deve a chiunque venga accusato, soprattutto se innocentemente, di aver commesso reati tutti da dimostrare. Milone testimoniò nella professione quotidiana cosa significa davvero definirsi giornalisti cattolici. E ciò ben al di là della sua naturale predilezione per la stampa cattolica che portò in auge negli anni della sua presidenza nazionale dell’Ucsi.

Napoli, il giornalismo e la Chiesa: le tre direttive della sua esistenza. Il racconto dei grandi eventi ecclesiali prima nella sua città, in particolare le visite storiche di san Giovanni Paolo II nel 1990 e di Benedetto XVI nel 2007, e poi a Roma, dove ha ricoperto il ruolo di direttore di Rai Vaticano. L’incontro con il cardinale Crescenzio Sepe, subentrato a Giordano, lo aveva proiettato su uno scenario importante: tra i due l’intesa sul modo di vedere il giornalismo religioso fu totale. A Roma il racconto dei primi anni del pontificato di Papa Francesco e in particolare del Giubileo straordinario della misericordia, senza mai tradire quello stile che aveva sempre contraddistinto i suoi lavori in tutte le sue precedenti esperienze professionali.

Un giornalismo non certo digitale negli strumenti (immancabile la risma di fogli A4 sulla sua scrivania), ma lungimirante. Il suo sguardo sempre proiettato al futuro per prevedere la notizia senza mai esserne travolto, in modo da accompagnarne il racconto. La tv era il suo mezzo prediletto. I suoi servizi, scritti rigorosamente a mano, erano speakerati nella sala montaggio senza vedere le immagini. Le interviste, sempre sul campo, introdotte da una semplice battuta, con il minutaggio in testa. La Rai è stata davvero la sua casa. Indimenticabile la sua celebre massima: “Cinquanta secondi non si negano a nessuno”. Era convinto che questo fosse il senso autentico del servizio pubblico: dare voce a tutti.

Per lui il giornalismo religioso equivaleva a non relegare il mondo ecclesiale in un angolo, ma a dargli ampia risonanza. Scevra da ogni forma antiquata di bigottismo, la Chiesa poteva pretendere le prime pagine dei giornali. Poteva fare notizia. Poteva essere la notizia. E lo ha dimostrato in decenni di professione luminosa. Un insegnamento indiscusso per chi è chiamato a comunicare la Chiesa cattolica oggi e nel futuro sempre più social. Bisogna essere grati a Massimo Milone anche per questo, per il suo stile e per la sua capacità di raccontare le notizie sempre con la consapevolezza di essere soltanto un mediatore – questo è il giornalista – tra esse e l’opinione pubblica.

Ho conosciuto Massimo quando avevo 13 anni. Ho avuto la fortuna di essere guidato da lui nella mia formazione professionale. Fu lui a suggerirmi di frequentare la Scuola di giornalismo dell’Università di Salerno e così avere formatori del calibro di Raimondo Pasquino, Biagio Agnes, Giuseppe Blasi, Marco Pellegrini e Mimmo Liguoro. Fu lui a farmi da tutor alla Tgr Campania. Fu lui a intervistarmi per Rai Vaticano ogni volta che usciva un mio libro. Fu lui a confrontarsi spesso con me sul futuro di un mondo che vedeva in rapido cambiamento. Gli sono grato per tanti saggi e generosi consigli, per la sua delicatezza, per la sua presenza costante (indimenticabili i suoi sms firmati semplicemente mm) e per la carezza che mi diede quando morì mio padre, scrivendomi, rigorosamente a mano, una lettera fraterna. Tanti oggi gli devono un grazie di cuore. Pochi sapranno imitarlo.

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