Quanto più i killer di massa si differenziano dai propri predecessori, maggiore sarà il grado di notorietà che otterranno. Ruolo centrale può essere svolto anche dai media, che dovrebbero evitare di porre l’accento sull’eccezionalità di questi eventi per concentrarsi sulla segnalazione responsabile dei fatti accaduti. Questi, in estrema sintesi, sono i punti centrali che emergono da uno studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), condotto dagli scienziati della New York University di Brooklyn.

Le sparatorie di massa, sottolineano gli autori, stanno diventando sempre più frequenti negli Stati Uniti, ma esiste una comprensione limitata del modus operandi di questi pluriomicidi. A gettare nuova luce su questo drammatico aspetto, il gruppo di ricerca, formato da Rayan Succara, Roni Barak Venturaa, Maxim Belykha, Sihan Weia e Maurizio Porfiri, ha utilizzato i dati relativi a 189 sparatorie di massa avvenute negli Stati Uniti tra il 1966 e il 2021. Il team ha considerato informazioni provenienti da fonti differenti, classificando gli episodi in base al numero di vittime e al luogo in cui sono avvenuti, per capire le motivazioni alla base degli atti violenti compiuti dagli autori di questi atti violenti.

Le sparatorie di massa, scrivono gli autori, sono poco comprese, perché non si conoscono a fondo i moventi che spingono i killer a compiere questi gesti. Le stragi con armi da fuoco vengono classificate tali quando coinvolgono un numero di vittime superiore a quattro, ma spesso sono molto più letali. Secondo le stime attuali, un terzo di questi episodi si verifica negli Stati Uniti, associati al numero più elevato di sparatorie di massa di qualunque altro paese al mondo. Gli autori delle stragi tendono frequentemente a commettere suicidio, ma in alcuni casi vengono trattenuti o uccisi dalle forze dell’ordine. Alcune ricerche suggeriscono che dal 2011 ad oggi il tasso di stragi con arma da fuoco risulta triplicato negli Stati Uniti, tanto che oggi si verifica una sparatoria ogni circa 64 giorni.

Il team ha utilizzato la teoria dell’informazione per quantificare il livello di unicità delle sparatorie, considerate in relazione agli attacchi precedenti. Allo stesso tempo, gli studiosi hanno raccolto i conteggi giornalieri dei visitatori che hanno aperto le pagine di Wikipedia dedicata agli specifici episodi analizzati. I ricercatori hanno quindi indagato la misura in cui la particolarità dell’atto criminale fosse associata alla fama del killer. I dati ottenuti rivelano che una maggiore diversificazione di un attacco rispetto agli episodi precedenti poteva garantire una risonanza più elevata dell’evento.

Stando a quanto emerge dall’indagine, nella maggior parte dei casi, gli autori sarebbero alla ricerca di fama e notorietà, perseguite attraverso azioni particolarmente brutali o lasciando testimonianze scritte della propria attività. I ricercatori hanno scoperto che i pluriomicidi tendono a pianificare attentamente gli attacchi proprio per differenziarsi dai propri predecessori. I risultati del lavoro, sostengono gli esperti, sollevano preoccupazioni in merito alla presentazione degli attacchi da parte dei media, che dovrebbero invece garantire una segnalazione responsabile e asettica delle sparatorie di massa.

Gli autori hanno identificato 28 protagonisti che hanno agito alla ricerca di fama e notorietà, i cui attentati sono stati significativamente più sorprendenti rispetto ad altri. “Il nostro dataset – scrivono gli esperti – non è stato ideato allo scopo di dettagliare minuziosamente ogni aspetto delle sparatorie, ad esempio non abbiamo differenziato gli episodi in base alla detenzione o alla morte degli autori, dato che tali caratteristiche non dipendevano dal controllo del killer, così come le loro caratteristiche demografiche”. L’episodio più famoso è stato il massacro della Columbine High School, avvenuta nel 1999, la cui pagina di Wikipedia ha registrato una media di 5387 visite giornaliere. Al termine della sparatoria rimasero uccisi 12 studenti e un insegnante, mentre si verificarono 24 feriti. I responsabili, due studenti della Columbine High School, si suicidarono sparandosi a loro volta.

Successivamente, gli autori citano l’evento avvenuto nel 2012 presso la Sandy Hook Elementary School, associato a un numero medio di 2204 visite giornaliere alla pagina Wikipedia riferita al massacro. In questa occasione, Adam Lanza, all’ora 20enne, aprì il fuoco all’interno della struttura didattica, provocando la morte di 28 persone, 20 dei quali bambini di età compresa tra i 6 e i 7 anni, per poi uccidersi prima dell’arrivo delle autorità. Al terzo posto per portata e risonanza gli scienziati riportano il massacro della Strip di Las Vegas del 2017, durante il quale hanno perso la vita 61 persone, e sono stati contati 851 feriti. Anche in questo caso l’autore della sparatoria, Stephen Paddock, un uomo di 64 anni si è ucciso con un colpo di pistola, dopo aver aperto il fuoco dal 32º piano del Mandalay Bay Hotel.

“Riconosciamo la controversia sulla pubblicazione di un lavoro di questo tipo – sottolineano gli autori – si potrebbe pensare che la nostra analisi fornisca spunti interessanti per i killer di massa in cerca di fama e notorietà. Tuttavia, le ricerche precedenti sul tema sono state principalmente di natura descrittiva, il che ostacola la comprensione del modus operandi di questi criminali”. “Il nostro lavoro – concludono gli scienziati – offre approfondimenti quantitativi sul comportamento degli autori di sparatorie di massa in cerca di fama. La base teorica di questo studio potrebbe essere utile in altri domini comportamentali, legati e non al contesto dell’aggressività”.

Lo studio

Valentina Di Paola

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