La recentissima polemica tra il ministro francese Gérard Darmanin e il governo italiano sulla questione migratoria mi ha riportato al saggio di Piero Gobetti, L’autobiografia della nazione (Aras Edizioni), di recente lettura. Nel capitolo Lettera a Parigi, l’intellettuale antifascista – parlando proprio di lotta al fascismo dopo una sua complessa analisi – scrive a un ipotetico amico francese: “…le nostre malattie e le nostre crisi di coscienza non possiamo curarle che noi. Dobbiamo trovare da soli la nostra giustizia”.

In effetti, ne L’autobiografia della nazione si possono trovare moltissime analogie col tempo presente. La crisi del ceto medio, morale prima ancora che politica. La crisi europea del primo dopoguerra, tra speranze tradite e problemi irrisolti. L’inadeguatezza della classe politica che non solo non riuscì a scongiurare il fascismo, ma in un certo qual modo lo alimentò. Nell’illusione di poterlo controllare attraverso le briglie delle istituzioni.

Crisi speculare, seppur diversa nella sua genesi, a quella che viviamo oggi: decenni di politiche neoliberiste, uno spregiudicato trasformismo (a sinistra come a destra), diverse crisi economiche e lo spettro di una guerra su scala globale. Questo è lo sfondo su cui si muove il “melonismo”. Ovviamente, riprendendo tali similitudini, non credo che l’Italia sia esposta al pericolo di un ritorno al passato, che si riproporrebbe come farsa e non più come tragedia. Temo, invece, che la nuova classe politica – di cui Meloni è espressione – rischi di coniugare le due dimensioni (farsa e tragedia, cioè) proiettando il nostro paese in un orizzonte che, più che conservatore, è appunto di estrema destra (come ha giustamente osservato Darmanin). E la cui unica cifra identitaria, non potendo incidere in politica economica se non seguendo le solite ricette ultraliberiste o elargendo misere mancette, è quella di una politica oppressiva nei confronti delle identità divergenti: famiglie arcobaleno in primis.

Nel palcoscenico politico attuale, la crisi profonda tocca anche le opposizioni: a cominciare dall’inconsistenza di chi si definisce liberale (il cosiddetto “terzo polo”), ma che di fatto è conservatore. E a seguire, quei partiti “di massa” che sembrano aver tradito non tanto le loro promesse elettorali, quanto la loro natura politica. Pd e M5S non sono percepiti come soggetti anti-sistema, ma come realtà che di quel sistema hanno fatto pienamente parte. Anche se l’elezione di Elly Schlein lascia ben sperare, è ancora troppo presto per invertire una rotta di lungo periodo. Ciò spiega la fortuna elettorale di Giorgia Meloni. Che non va vista come “salvatrice della patria”, bensì come prodotto della crisi.

In tal senso, mutatis mutandis, la crisi attuale sembra analoga a quella che generò il fascismo. Ma – o proprio per questo – leggendo il saggio di Gobetti possiamo trovare delle soluzioni per affrontare la triste stagione “meloniana” che si è aperta davanti a noi: l’intransigenza politica nei confronti del nuovo corso, per cominciare. Le opposizioni non devono svolgere un lavoro di supporto al governo, quando questo sbaglia. Perché un governo che nasce come prodotto reazionario di una crisi è di per sé un errore storico. E non importa che questo abbia avuto l’avallo democratico. La democrazia è quella cosa che ti vota Barabba, invece di salvare Gesù sulla croce. Certo, va rispettata la volontà dell’elettorato, e questo non è in discussione. Ma è doveroso criticarne gli effetti. Ovvero, la nascita di un governo reazionario e estremista che va abbattuto con una politica intransigente.


Quindi, tornando ancora a Gobetti, emerge un’ulteriore soluzione: il rinnovamento profondo della classe politica con una maggiore attenzione alle classi popolari, da una parte; la creazione di dirigenze preparate e culturalmente all’altezza della situazione, che trovino nelle prime nuova linfa, dall’altra. Culturale e politica al tempo stesso. Fratelli d’Italia è il primo partito nella misura in cui il 40% e oltre dell’elettorato decide di restarsene a casa. Recuperare parte dell’astensionismo non solo ribalterebbe le fortune elettorali dell’estrema destra, che trionfa di fronte al vuoto dei suoi competitori, ma porterebbe a un’offerta politica nuova. Laica, popolare, progressista, culturalmente avanzata. In una parola: europea. Aggettivo identitario caro a Gobetti.

È l’ora, insomma, di abbandonare le sirene dei vetero-nazionalismi che si travestono di patriottismo. E gli pseudo-conservatorismi che nascondono sotto le loro ali rassicuranti nostalgie fasciste, per quanto folcloristiche. In tal senso la lezione di Gobetti ci offre un’analisi del presente, partendo dal passato. E non solo per non ripetere antichi errori, ma per non essere – noi che crediamo al senso più alto della democrazia – farseschi a nostra volta. E per “trovare da soli la nostra giustizia”.

Articolo Precedente

Italia-Francia, dopo l’attacco a Meloni Parigi ritratta. Ma Tajani: “Pretendiamo rispetto”

next
Articolo Successivo

Il Copasir e la denuncia del Pd sullo squilibrio dopo il passaggio di Borghi coi renziani. La Russa risponde a Boccia: “Verificherò con lui”

next