In Italia un cambio di appalto può cambiarti la vita. E poco importa se lavori all’interno di un’istituzione come l’Università di Roma La Sapienza. Lo sanno bene gli addetti alla sorveglianza non armata dell’ateneo, una cinquantina di lavoratori che l’estate scorsa si sono visti togliere il vecchio contratto e applicare il famigerato Ccnl Servizi fiduciari. A conti fatti, oltre 200 euro in meno al mese per chi già ne guadagnava 1.300. Ma quando i loro legali hanno inviato una diffida al datore e all’università, i lavoratori hanno “iniziato a ricevere intimidazioni e ritorsioni dai dipendenti dell’ateneo responsabili dell’appalto”, raccontano. Parole come “sarete licenziati” e “per me siete morti”, che il prossimo 10 maggio finiranno davanti al Tribunale del lavoro di Roma perché il sindacato dei Cobas ha fatto causa al titolare dell’appalto e al committente, l’università. Che si smarca: “L’Amministrazione dell’Ateneo ha prontamente istituito una Commissione di verifica interna per l’accertamento dei fatti”. Intanto per il 4 maggio i Collettivi studenteschi della Sapienza hanno convocato un’assemblea pubblica in solidarietà ai lavoratori.

Dal Multiservizi al Servizi fiduciari Il peccato originale si chiama esternalizzazione selvaggia e gli enti pubblici ne hanno fatto uno stile di vita, tra appalti aggiudicati al massimo ribasso e condizioni di lavoro sempre più precarie. Soprattutto se le gare le vincono aziende che applicano un contratto come il famoso Servizi fiduciari, nato per inquadrare gli addetti alla vigilanza non armata, quelli dei servizi di portierato. Col passaggio a questo contratto, che ormai fa concorrenza al ribasso anche in altri settori, ci sono dipendenti che hanno visto la retribuzione ridursi anche del 40%. Lo scorso luglio è toccato agli addetti della Sapienza, dopo che la società Battistolli Servizi Integrati si è aggiudicata l’appalto mandando in pensione il Ccnl Multiservizi. “Prendevamo all’incirca 1.350 euro al mese – spiegano alcuni lavoratori – ora ne prendiamo 1.150, abbiamo perso la quattordicesima e la paga oraria è passata da 7,81 euro lordi l’ora ai 6,77 euro di oggi”. E siccome in base alla paga oraria si calcolano anche le prestazioni aggiuntive, si è ridotta la tredicesima e così i contributi previdenziali. Come non bastasse, i lavoratori denunciano anche la riduzione degli straordinari. “Ma c’è anche la beffa: dobbiamo versare all’azienda un contributo per la divisa che ci obbligano a indossare”.

“Il diavolo è nei dettagli” “I titolari del nuovo appalto avevano addirittura proposto una retribuzione mensile di 950 euro lordi per 13 mensilità”, riferiscono i lavoratori. Questo prevede il livello D, quello dei lavoratori in questione, del Ccnl Servizi fiduciari firmato nel 2013 da Cgil e Cisl e scaduto ormai 8 anni fa, il 31 dicembre 2015. Un contratto così povero che i livelli retributivi sono stati più volte dichiarati incostituzionali dai giudici del lavoro perché inferiori alla soglia di povertà relativa. Per i lavoratori della Sapienza si è poi arrivati a una armonizzazione che ha portato ai 1.150 euro al mese, ma la differenza si assorbirà nei futuri scatti di carriera. Insomma, i prossimi aumenti previsti dal Ccnl non costeranno nulla all’azienda. Quale integrazione è stato offerto un “incentivo di presenza” di 9 euro al giorno. Che non viene riconosciuto nei giorni di malattia, ferie o congedo per la legge 104. Un modo, accusano i lavoratori, “di rendere variabile una parte dello stipendio, che incide su tanti aspetti e alla fine si risolve in un altro risparmio per il datore”. Così “bastano un paio di settimane di malattia e in busta paga perdi altri 100 euro”. Il risultato? “Tra ferie senza incentivo e taglio della quattordicesima, la differenza la senti: soldi sui quali molti di noi contavano per una piccola vacanza e magari adesso ci rinunci. Ma anche per l’assicurazione dell’auto che ora pagherò a rate o per comprare i libri ai figli che iniziano la scuola a settembre”, raccontano al Fatto i lavoratori. Tanto che alcuni hanno rifiutato il nuovo contratto, preferendo la disoccupazione che, se pur temporaneamente, offre l’80% della precedente retribuzione lorda: “Comunque più del netto che prendiamo noi col nuovo contratto”.

Le intimidazioni ai lavoratori Fin qui, purtroppo, la storia somiglia a quelle di tanti altri italiani, compresi quelli che allargano le fila di chi è povero nonostante lo stipendio, i cosiddetti working poor che ormai sono il 25% della forza lavoro. Ma alla Sapienza succede di più e di peggio. Dopo un trattativa sindacale che non ha prodotto i risultati sperati, una ventina di dipendenti decide di iscriversi ai Cobas, la Confederazione dei comitati di base che però si vede negare dal datore le trattenute sindacali disposte dai dipendenti. Che si affidano ai legali del sindacato e lo scorso febbraio inviano una diffida all’azienda e all’università ribadendo la disponibilità a “ricercare una bonaria composizione”. Apriti cielo. Due giorni dopo partono una serie di intimidazioni che, spiegano i lavoratori, “sono messe in atto direttamente dai dipendenti dell’ateneo responsabili per l’appalto, il RUP (Responsabile unico di procedimento) e il DEC (il Direttore esecuzione contratto)”. “La vostra retribuzione è fin troppo alta visto che non fate niente”, sono le parole che riporta il ricorso firmato dagli avvocati Carlo Guglielmi e Gabriele Cingolo. E ancora: “Lo sai mo’ che famo co’ la trattativa vostra? ‘na strage… Altro che mille duecento euro, mille e trecento euro… sarete licenziati”. “Mi ha colpito la loro cattiveria, in particolare quella nei confronti delle colleghe che si sono sentite dare delle “ignoranti che hanno la terza media” per poi essere derise perché, messe all’angolo fisicamente, si erano messe a piangere”, raccontano i guardiani della Sapienza, che sono riusciti a registrare l’audio di alcuni episodi, poi allegati al ricorso giudiziario. Ma non è finita. Tre lavoratori, gli RSA Cobas (rappresentanti sindacali aziendali) hanno subito lo spostamento ad altro appalto, dopo vent’anni alla Sapienza e con un ulteriore danno retributivo. Ma anche contestazioni per le quali la Battistolli chiariva che a richiedere la procedura disciplinare fosse stato il RUP dell’ateneo.

L’università si smarca dalle accuse – Nel loro ricorso, i Cobas tirano in ballo l’ateneo perché “il controllo del personale è effettuato proprio dai dipendenti della Sapienza“. A dimostrarlo sarebbero le esplicite minacce del RUP e la stessa Battistelli, che nelle contestazioni disciplinari ai propri dipendenti scriveva: “Lei avrebbe dovuto rispettare le disposizioni ricevute dal Rup”. Al contrario, scrive in una nota inviata a ilfattoquotidiano.it la Direzione Generale dell’Amministrazione della Sapienza, “si precisa che gli aspetti retributivi e la dislocazione delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti della società vincitrice dell’appalto dei servizi di portierato e guardiania presso Sapienza Università di Roma, non sono e non possono essere stabiliti dall’Amministrazione dell’Ateneo. Le retribuzioni e la dislocazione dei dipendenti di società esterne affidatarie di servizi, infatti, sono definite contrattualmente dalle società medesime”. Quanto “ai comportamenti del personale universitario oggetto di denunce, l’Amministrazione dell’Ateneo ha prontamente istituito una Commissione di verifica interna per l’accertamento dei fatti. Si fa presente che le richieste da parte della Commissione di ulteriori informazioni/documentazione alla società e ai rappresentanti dei segnalanti, non hanno ricevuto alcun riscontro utile”. Una ricostruzione contestata dai legali dei lavoratori e un’iniziativa, quella della Commissione, che non avrebbe comunque fermato le condotte antisindacali, già oggetto di una seconda diffida nella quale gli avvocati chiedevano all’ateneo di intraprendere tutte le iniziative necessarie, “come la legge impone a pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio”.

Gli studenti contro l’ateneoAlla fine sarà un giudice del Tribunale del lavoro di Roma a dichiarare se di condotta antisindacale si tratta. Nel caso, l’azienda e l’ateneo dovranno rimuoverne gli effetti di tali condotte, a partire dagli spostamenti di alcuni lavoratori. La prima udienza è prevista per il 10 maggio. Chi invece ha già dato un giudizio nettamente negativo della vicenda sono gli studenti dei Collettivi delle facoltà della Sapienza, che alle 11 di giovedì 4 maggio hanno convocato un’assemblea pubblica presso la città universitaria, “davanti la scalinata di giurisprudenza”. “Fatti e comportamenti inaccettabili in qualsiasi luogo di lavoro, tanto più in luogo come l’Università dove si deve insegnare (e praticare) il rispetto della legalità”, scrivono i Collettivi nel loro comunicato, certi che alla Sapienza “si è superato il segno“. Sulla vicenda, poi, c’è chi non manca di ricordare che un’occasione per evitare tutto questo c’è stata. “Lo scorso luglio, pochi giorni dopo il cambio d’appalto, l’ateneo ha indetto un concorso per alcuni posti di portierato. La legge non prevede benefici per noi esternalizzati, ma dopo tanti anni di lavoro avrebbero potuto trovare il modo di stabilizzarci, magari attribuendo un punteggio alla nostra esperienza”. Invece? “Invece niente, e i tre posti inizialmente messi a bando sono diventati una graduatoria da 100 posti e alcune decine di persone sono state assunte”. Di più: “Altro che stabilizzarci: quel concorso è servito a minacciarci: “Ve rendete conto che io c’ho cinquanta persone che posso chiamare al posto vostro – ci siamo sentiti dire dal RUP dell’ateneo – qualcuno de voi me sa che non ha capito che è finita”.

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