Attualmente illecite, le droghe psichedeliche come l’ecstasy, chiamata anche MDMA o Molly, potrebbero presto essere commercializzate a scopo terapeutico per i pazienti che soffrono di disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Questa curiosa prospettiva emerge da un approfondimento pubblicato sulla rivista Nature, in cui si riportano alcune delle possibilità e delle domande associate all’implementazione di terapie a base di sostanze psichedeliche. La 3,4-metilenediossimetanfetamina, o MDMA, è una sostanza psicoattiva appartenente alla classe delle feniletilamine che si è diffusa dagli anni Novanta. Considerata uno dei più diffusi stupefacenti, viene assunta generalmente sotto forma di pastiglie o cristalli, disciolti in liquidi o fumati. Sebbene l’abuso di ecstasy possa provocare serie conseguenze negative per la salute, diversi team di ricerca affiliati a istituti in tutto il mondo stanno valutando la possibilità di impiegare la sostanza come adiuvante durante le sessioni di psicoterapia.

“Il 2023 – afferma Rick Doblin, presidente e fondatore dell’organizzazione no-profit Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (MAPS) – potrebbe essere l’anno in cui il governo degli Stati Uniti approverà l’utilizzo di sostanze allucinogene per il trattamento delle malattie mentali. Non credo ci saranno troppi ostacoli, i risultati dei nostri lavori sono davvero incoraggianti”. L’organizzazione di Doblin è attivamente impegnata nella definizione di protocolli volti a valutare l’efficacia dell’MDMA per il trattamento dei disturbi da stress post-traumatico. I fautori di queste tecniche spiegano infatti che le sostanze psicoattive possono limitare le risposte di fuga psicologica associate a traumi ed esperienze negative. “Il meccanismo – riporta Doblin – è simile a quello che avviene quando si assume alcol, ma i giusti dosaggi di sostanze psicotrope non inducono la stessa confusione e l’oblio che si sperimentano quando si raggiunge lo stato di ubriachezza”.

A seguito della pubblicazione dei risultati ottenuti dall’ultimo trial di sperimentazione, MAPS prevede di chiedere alla Food and Drug Administration (FDA) statunitense l’approvazione all’utilizzo di un farmaco psichedelico come trattamento per il PTSD. I ricercatori sperano inoltre che l’FDA possa valutare positivamente le possibilità di impiego di altri psicoattivi, come ketamina, ayahuasca, LSD (acido), psilocibina e altre sostanze in fase di sviluppo.

Anche altre realtà internazionali, nel frattempo, stanno prendendo in considerazione l’opzione della medicina psichedelica. In Australia, ad esempio, l’ecstasy è stata approvata come trattamento per il disturbo da stress post-traumatico, sebbene la somministrazione dei farmaci psicoattivi sia sottoposta a numerose limitazione. Gli stessi funzionari di MAPS sottolineano la necessità di stabilire rigorosi regimi di controllo per garantire la sicurezza dei pazienti. “Molte persone potrebbero beneficiare di un approccio innovativo alla medicina psichedelica – afferma Amy Kruse chief investment officer presso la società di venture capital Satori Neuro, nel Maryland – penso che un’opzione di trattamento aggiuntiva possa essere positiva per chi soffre di disturbi mentali”. Le controparti più scettiche nei confronti di questi metodi sollevano diverse preoccupazioni, ad esempio in merito ai protocolli di sicurezza necessari all’approvazione da parte delle autorità regolatorie. L’FDA, in particolare, richiede almeno due trial di sperimentazione in doppio cieco con gruppo di controllo che riceve placebo. Negli studi effettuati finora, medici e pazienti stessi erano in grado di discernere quali partecipanti fossero stati assegnati al farmaco, per via degli effetti inconfondibili associati all’assunzione delle droghe. “Senza un vero controllo con placebo – evidenzia Erick Turner, psichiatra presso l’Oregon Health & Science University di Portland – la sperimentazione di uno psicofarmaco produrrà quasi certamente risultati positivi. I pazienti sanno cosa stanno ricevendo e ci credono, per cui potrebbero insorgere bias dovuti a tale conoscenza”.

Per far fronte a questa obiezione, Doblin ha sviluppato un approccio speciale in uno studio del 2017, in cui i partecipanti venivano esaminati successivamente da esperti e psicologi che non avevano modo di sapere chi fosse stato assegnato al gruppo placebo o a quello sperimentale. “Crediamo fermamente che i risultati non derivino direttamente dall’MDMA – ribadisce Doblin – ma piuttosto dalla competenza di terapisti altamente qualificati che somministrano la droga. Farmaco e percorso psicologico sono inscindibili”. Non abbiamo ancora elementi sufficienti – dichiara Stephen Bright, psicologo presso la Edith Cowan University di Perth, in Australia, che sta reclutando un numero più ampio di partecipanti per un trial volto a esaminare gli effetti dell’MDMA – per stabilire la sicurezza e l’efficacia della medicina psichedelica”.

L’altro argomento sollevato dai fautori della medicina tradizionale riguarda infatti la sicurezza dei pazienti. Durante la sperimentazione di fase II del MAPS portata avanti nel 2015, una partecipante ha riferito di essere stata violentata dai propri terapisti. Le riprese video hanno mostrato i medici e la paziente intenti in manifestazioni amorose, baci e carezze di natura sessuale. Processato in un tribunale civile, uno degli esperti che aveva intrapreso una relazione con la donna ha dichiarato che il rapporto era stato consensuale. Il caso è stato poi risolto in via extragiudiziale. “Le molestie possono rappresentare un problema indipendentemente dall’MDMA – ha sottolineato Doblin – i terapisti di questo episodio sono stati licenziati. I sondaggi nazionali mostrano che una piccola percentuale di specialisti della mente ammette di essere stata coinvolta sessualmente con i propri clienti durante o dopo la terapia, nonostante tale comportamento sia deontologicamente vietato”. Questo legame, che avvenga in modo consensuale o meno, potrebbe inficiare significativamente i risultati del trattamento.

Un altro aspetto problematico legato alla commercializzazione di farmaci psichedelici per uso terapeutico riguarda il rischio di monopolio economico. Il diritto esclusivo di MAPS potrebbe infatti, secondo alcuni, provocare una seria discrepanza tra l’azienda di Doblin e altri attori che si impegnano, attualmente o in un prossimo futuro, in direzioni di ricerca simili. “L’esempio di MAPS – ribatte Kruse – potrebbe però anche incentivare le altre aziende a sviluppare e brevettare sostanze chimiche alternative simili, stimolando l’innovazione. panorama del disturbo da stress post-traumatico è piuttosto ampio e non credo che in questa situazione possa emergere un solo protagonista”. Il mercato degli psichedelici in ambito clinico, secondo le stime attuali, potrebbe raggiungere un valore di oltre otto miliardi di dollari entro il 2028.

Nel 2022, l’American Psychological Association (APA) ha pubblicato una dichiarazione spiegando che “l’associazione sostiene la ricerca continua e la scoperta terapeutica sugli agenti psichedelici, ma i trattamenti dovrebbero essere approvati dalle autorità di regolamentazione a seguito di controlli attenti e puntuali”. “I nostri obiettivi possono essere percepiti come un’oscillazione dualistica tra capitalismo e filantropia – commenta Doblin – abbiamo gettato le basi per l’approvazione dei medicinali psichedelici come trattamento per le condizioni di salute mentale. Lo scopo finale, a prescindere dal guadagno di MAPS, deve restare il benessere dei pazienti”.

Lo studio su Nature

Valentina Di Paola