Lo scontro tra i caccia russi e il drone americano sullo spazio aereo internazionale vicino alla Crimea può veramente provocare l’allargamento del conflitto?
Non dobbiamo fermarci a guardare il dito, ma puntare alla Luna. Dal 24 febbraio, giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, il rischio escalation è stato costante. Dal momento in cui il blocco Nato ha deciso di sostenere Kiev, questo rischio è stato accettato. Ed è sempre stato lì presente, indipendentemente dagli episodi che possono innescarlo. Indubbiamente, però, questo attivismo e ciò che ne consegue gettano ancora più benzina sul fuoco. L’incidente del drone, se così vogliamo chiamarlo, ha una gravità elevata, ma è vero pure che può essere gestito a livello diplomatico grazie ai rapporti consolidati tra Russia e Stati Uniti. Quelli come questo sono episodi con i quali le due parti hanno imparato a convivere dal Dopoguerra a oggi, stabilendo delle regole di ingaggio per la gestione delle crisi.

In che modo?
Faccio un esempio. Alla fine del 2015 la Turchia colpì, abbattendolo, un Su-24M russo sui cieli al confine tra il Paese anatolico e la Siria. Quell’episodio avrebbe potuto scatenare un conflitto tra Mosca e la Nato, data anche la tensione tra le parti legata al diverso schieramento nel conflitto siriano. ma questo non è accaduto perché i leader della Nato e la Russia si parlarono immediatamente e disinnescarono ogni rischio die scalation.

Quindi un episodio come quello del drone americano abbattuto può diventare un casus belli solo se una delle parti decide che debba esserlo…
Esattamente, al momento non c’è la volontà delle due parti di farlo diventare la scintilla del conflitto. Questo ce lo racconta, in parte, anche la decisione di definirlo un “incidente”, quando invece si tratta di una manovra calcolata e voluta dalla Russia. Questo, però, non deve tranquillizzarci. Se oggi questa volontà non c’è non vuol dire che non possa emergere in futuro. E questa situazione di tensione non fa altro che tenere in gioco questa possibilità.

L’episodio, nonostante la sua gravità, non ha prodotto reazioni dure né da una parte né dall’altra. Questo è indice della gravità dell’episodio e deve quindi preoccupare?
La tensione e il pericolo sono costanti. Ma se di fronte a questi episodi si mantengono toni bassi è comunque un segnale positivo perché indica comunque la volontà di non arrivare all’escalation. Poi non possiamo sapere cosa si siano detti tra loro, ma direi che non è importante. Ciò che conta è il messaggio che danno all’esterno, è l’unico sul quale dovranno rendere conto.

Se la Russia ha mostrato i muscoli fin da prima dell’invasione, crede che gli Stati Uniti stiano aumentando la spregiudicatezza delle proprie azioni nel contesto ucraino?
No, credo che gli Usa abbiano sempre tenuto una linea coerente dal 24 febbraio. Non dobbiamo dimenticare che dall’altra parte c’è un Paese che ha invaso e annesso circa il 19% di uno Stato indipendente e che durante la Guerra Fredda ricorreva spesso a provocazioni di questo tipo. Gli Stati Uniti sono stati furbi nel procedere con questa provocazione. Si sono mantenuti nello spazio aereo internazionale, senza entrare in quello della Crimea che, ricordiamolo, è considerato territorio russo solo da Mosca. La loro posizione, però, non impediva a Washington comunque di spiare i movimenti russi, questo lo sapevano sia gli usa che, appunto, i vertici della Federazione. Gli Usa provocano, spiano, e lo fanno da ben prima che iniziasse l’invasione, ma lo fanno rimanendo nei limiti della legalità stabilita dal diritto internazionale. Fuori da questo confine è uscita invece la Russia procedendo con l’abbattimento.

Oggi, però, abbiamo visto i caccia russi decollare dalla Bielorussia e assistito a un’esercitazione con 10 aerei da guerra di Mosca sui cieli di Kaliningrad. È solo una provocazione?
Sono azioni che si collocano nella normalità della dialettica di guerra, azioni di deterrenza e intimidazione. Un modo per mandare un segnale all’avversario, ma anche ai propri cittadini, con i quali si deve sempre stare attenti a giustificare le proprie azioni e, soprattutto, a non trasmettere un’immagine di debolezza.

Non è che Mosca sta pensando di mettere in campo l’aviazione, ancora poco attiva nello scenario ucraino?
Negli ultimi mesi abbiamo senza dubbio assistito a un maggior coinvolgimento dell’aviazione russa nel conflitto ucraino. Ma siamo ancora lontani dal potenziale che questa può esprimere. Una grande distanza, però, si registra anche tra le capacità tecnologiche e di addestramento dell’aviazione russa rispetto a quella occidentale, molto più avanzata. C’è anche una questione di dottrina di guerra: la Russia, come abbiamo visto, privilegia l’uso di truppe di guerra, dopo viene la Marina, soprattutto per quanto riguarda i sommergibili, e solo alla fine arriva l’aeronautica. Quest’ultima soffre un gap notevole rispetto a quella occidentale e anche per questo è meno utilizzata. L’unico utilizzo negli anni scorsi lo abbiamo registrato in Siria, dove è stata usata per bombardare le aree occupate dai ribelli e dagli islamisti in funzione pro-Assad. Ma stiamo parlando di un nemico che non aveva capacità di risposta. In Ucraina la situazione è doversa e i sistemi antiaerei di Kiev possono veramente far male all’aviazione russa. Basta pensare a scenari di guerra come l’Afghanistan o la Cecenia: molti elicotteri russi sono stati abbattuti dagli Stinger nemici. Prima o dopo, probabilmente la Russia farà uso dell’aviazione, quello che non sappiamo è che impatto questa possa veramente avere sul conflitto.

A proposito di tecnologia, gli Stati Uniti sono preoccupati dall’eventualità che i russi recuperino il velivolo abbattuto per studiarne le tecnologie?
Sicuramente è un fattore, ma ci sono molte variabili da considerare. Dobbiamo capire in che condizioni troveranno il mezzo, anche perché questi mezzi hanno dei sistemi di autodistruzione in caso di abbattimento proprio per non dare un vantaggio agli avversari. Infine, c’è anche da vedere cosa i russi, molto indietro tecnologicamente in questo campo, riusciranno a capire dall’analisi di mezzi così sofisticati come i droni americani.

Twitter: @GianniRosini

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