In questi giorni il governo italiano sta cercando di fermare l’approvazione definitiva della Direttiva Ue sul divieto di vendita di auto a motore endotermico dal 2035 chiedendo di mantenere i motori termici alimentati da biocarburanti e carburanti sintetici. E la sua posizione ha portato altri Paesi a seguirlo. Ma voglio guardare alla sostenibilità di queste soluzioni, il loro reale contributo all’abbattimento di CO2 e il loro grado di maturazione come tecnologie rispetto all’elettrico. Oltre ai rischi questo ritardo comporta per il settore industriale.

Biocarburanti

Un recente studio dell’IFEU (Institut für Energie- und Umweltforschung) per conto della Federazione europea del trasporto e dell’ambiente ((Transport & Environment, T&E, che riunisce le organizzazioni non governative che promuovono la sostenibilità dei trasporti) ha quantificato per la prima volta i costi di opportunità legati alla destinazione di milioni di ettari di terreni fertili alla produzione di biocarburanti in Europa. Secondo i risultati, questi terreni potrebbero essere utilizzati in modo molto più efficace per mitigare i cambiamenti climatici, preservare la biodiversità e aumentare la sicurezza alimentare globale.

Nel 2009, l’Ue ha introdotto un mandato sui biocarburanti come parte della sua legislazione sui combustibili ecologici, la “Direttiva sulle energie rinnovabili” (RED). Sebbene all’epoca sembrasse un’idea allettante di supportare gli agricoltori nella produzione di carburanti verdi, in realtà i biocarburanti hanno danneggiato la sicurezza alimentare e ostacolato la mitigazione dei cambiamenti climatici. Lo studio, condotto dall’Ifeu per conto di T&E, ha evidenziato che la produzione di colture per i biocarburanti richiede l’utilizzo di 9,6 milioni di ettari di terreno in Europa, una superficie più grande dell’isola d’Irlanda. Se si considera anche la produzione di coprodotti, principalmente mangimi per l’allevamento industriale, la superficie necessaria si riduce a 5,3 milioni di ettari.

I principali risultati dello studio dimostrano che se questa terra fosse restituita alla sua condizione naturale (“rewilded”), sarebbe in grado di assorbire circa 65 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera, quasi il doppio del risparmio netto di CO2 ufficialmente riportato dai biocarburanti che sostituiscono i combustibili fossili. Inoltre, utilizzare questi terreni per le fattorie solari sarebbe molto più efficiente, poiché sarebbero necessari 40 volte più terreno per alimentare un’auto con biocarburanti rispetto a un’auto elettrica alimentata a energia solare. Utilizzando solo il 2,5% di questa superficie per i pannelli solari, sarebbe possibile produrre la stessa quantità di energia. Infine, le colture coltivate su questi terreni potrebbero essere utilizzate per fornire il fabbisogno calorico di almeno 120 milioni di persone.

Carburanti sintetici

Si tratta di carburanti prodotti in laboratorio, che si ottengono dalla fusione di anidride carbonica ed idrogeno (i più primitivi) o mediante elettrolisi.

Il tema dell’impatto ambientale dei carburanti sintetici non è nuovo e molte ricerche scientifiche sono state condotte a riguardo. Una delle analisi più obiettive e imparziali è stata condotta dalla T&E. Secondo i risultati del loro studio, pubblicato a ottobre del 2022, i carburanti sintetici potrebbero ridurre l’emissione di CO2 delle auto fino all’82% solo se prodotti con energie 100% rinnovabili, altrimenti la loro efficacia si ridurrebbe del 53%. Tuttavia, anche nel caso migliore, un’auto elettrica sarebbe comunque più ecologica (con un vantaggio del 27%) rispetto a un’auto mossa da carburanti sintetici. Inoltre, anche nel caso in cui l’energia utilizzata per produrre i carburanti sintetici sia al 100% rinnovabile, solo una parte marginale della flotta di auto a combustione interna, circa il 3%, potrebbe utilizzare questi combustibili alternativi nel 2035, secondo le previsioni più ottimistiche dell’industria dei carburanti. Di conseguenza, i carburanti sintetici potrebbero essere utilizzati principalmente per decarbonizzare i trasporti aerei e marittimi.

Stabilito quindi che questi carburanti alternativi sono ancora molto poco sostenibili e ben lungi da poter essere messi sul mercato e nella quantità necessaria, resta da capire quali sono i reali effetti che dilazionare i tempi di applicazione di questa direttiva comporta in termini di conversione del comparto industriale.

Secondo un’altra analisi condotta dall’organizzazione ambientalista T&E, il 68% della capacità produttiva di batterie agli ioni di litio prevista in Europa è a rischio a causa dell’Inflation Reduction Act (IRA), la legge approvata dagli Stati Uniti per attrarre la produzione di tecnologie verdi. Questa legge sta rendendo gli Stati Uniti molto attraenti per la nascente industria delle batterie, mettendo a rischio la produzione europea. T&E ritiene che l’Unione Europea debba agire rapidamente e mettere in campo strumenti comuni di sostegno finanziario per far crescere i volumi di produzione e favorire procedure autorizzative più snelle.

T&E ha condotto un’analisi dettagliata delle 50 gigafactory annunciate in Europa, valutando la loro solidità finanziaria, lo status autorizzativo e la certezza della loro localizzazione. Lo studio ha anche considerato la possibile presenza di legami tra le aziende che dovrebbero realizzare gli impianti e gli Stati Uniti. Secondo lo studio, 1,2 TWh di produzione europea di batterie, in grado di equipaggiare 18 milioni di auto elettriche, sono attualmente ad alto o medio rischio di interruzione o delocalizzazione. Senza questi volumi di produzione, l’Europa non sarà in grado di soddisfare la domanda interna di accumulatori prevista per il 2030 e dovrà quindi ricorrere all’importazione di batterie dai concorrenti stranieri.

“I piani industriali per la produzione di batterie nella Ue sono sotto il fuoco incrociato di Stati Uniti e Cina”, dichiara Carlo Tritto, Policy Officer di T&E Italia. “Per competere efficacemente, l’Unione Europea deve dotarsi subito di una politica industriale verde incentrata sulle batterie, fornendo un robusto sostegno per aumentarne i volumi di produzione. Il Continente, insomma, è chiamato a reagire alle politiche protezionistiche americane e al dominio cinese degli ultimi anni per ritagliarsi un ruolo da leader in questo settore strategico. In caso contrario si rischia di accumulare un ritardo che potrebbe tradursi in una pesante sconfitta industriale”.

Questo ritardo è già un rischio concreto oggi, senza una Direttiva che inibendo la vendita di macchine a motori endotermici funga da booster alla conversione del comparto industriale automotive, incluso quello delle batterie. Pensiamo cosa succederebbe in termini di perdita di opportunità di business se effettivamente passasse la linea portata trionfalmente avanti dal governo italiano a cui si sono accodati purtroppo altri Paesi, ovvero rallentare ulteriormente questo settore industriale che inevitabilmente andrà riconvertito, prima o poi.

Io dico meglio prima che poi, accompagnandolo con un robusto piano di incentivazione per aumentare la transizione verso una mobilità a zero emissioni.

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