Professor Sapelli, circa un anno fa, poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina, Lei aveva preconizzato un conflitto lungo e una efficacia molto dubbia delle sanzioni occidentali. Come vede oggi la situazione?

Quello che sta accadendo in Ucraina è la cartina di tornasole di un grande e crescente disordine internazionale. Molti nodi sono venuti al pettine e sullo scenario ucraino si scaricano attriti più profondi, tra i diversi capitalismi, principalmente quelli dell’anglosfera, ossia Usa e Gb, e quelli di Germania e Cina. Penso che verosimilmente la guerra durerà ancora a lungo e credo che non verrà decisa dalle armi, né in un senso né nell’altro. La mia speranza è che Russia e Stati Uniti si stiano comunque parlando, che già si stia trattando su un futuro assetto della regione. Immagino con una Crimea che resta russa e un Donbass restituito a Kiev. Per quanto breve l’incontro che c’è stato al G20 di Delhi tra il segretario di stato Antony Blinken e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov non va sottovalutato, si sono visti, si sono parlati, si sono “toccati”. Questo è importante e lascia spazio a qualche timida speranza.

È stupito dalla resistenza che ha mostrato in questo anno l’economia russa? All’inizio della guerra si erano fatte previsioni di un crollo del Pil di oltre il 10%, alla fine la flessione è stata di circa il 2%…

Credo che questa tenuta sia in parte riconducibile alla conversione dell’apparato industriale russo alla produzione bellica. Molto però dipende anche dalla sapienza e dall’abilità della governatrice della banca centrale russa Ėl’vira Nabiullina, economista estremamente capace che, in sostanza, è alla guida dell’opposizione interna alla linea di Putin. Sull’efficacia delle sanzioni, che va comunque valutata su tempi più lunghi, ho sempre avuto delle perplessità. Sono misure che tendono a rafforzare i regimi più che a indebolirli, guardiamo all’esempio dell’Iran. Inoltre si possono aggirare, soprattutto quando India, Cina, Sud Africa, Turchia, in pratica l’intera America Latina, insomma paesi che ospitano i due terzi della popolazione mondiale, non vi prendono parte.

A proposito, gli ultimi sondaggi accreditati di una certa affidabilità mostrano un consenso verso il presidente russo che non sembra indebolirsi, anzi.

Penso sia improprio parlare di consenso in un sistema dittatoriale. Quella che si verifica una sorta di accettazione pragmatica della situazione da parte della popolazione. Chi si oppone attivamente a Putin è veramente eroico e trovo vergognosa la timidezza con cui media e istituzioni occidentali parlano di questa “resistenza”. L’associazione russa Memorial ha vinto il Nobel per la pace ma se ne parla e se n’è parlato pochissimo. Per ignoranza, stupidità o forse codardia. Così come si parla troppo poco di Anna Politkovskaja che denunciò le pratiche del regime putiniano e che per questo è stata uccisa nel 2006.

Nelle ultime settimane la Cina sembra aver assunto un ruolo più attivo nella vicenda, sottoponendo anche un piano di pace alle parti in causa.

Mi dispiace ma credo che dalla Cina non possa venire nulla di buono. Checché se ne dica Pechino non ha una vera alleanza con la Russia e non ha nessun interesse a far finire rapidamente una guerra che indebolisce sia l’Europa che Mosca. La Cina pensa per sé, fa i suoi interessi. Non è da lì che arriverà la soluzione come invece sembrano credere in molti. Più interessante, in prospettiva, sarà secondo me la posizione dell’India che punta a mettersi alla guida di questo importante e numeroso gruppo di paesi non allineati e che dispone di risorse per superare la Cina anche come potenza economica. Certamente l’aver appreso che la Nato ha espresso velleità di proiezione dell’alleanza anche nello scenario Indo-Pacifico ha messo sul chi vive Nuova Delhi, la mossa non ha certo aiutato.

Pur essendo la più direttamente interessata dal conflitto e sopportandone le maggiori ricadute economiche, l’Unione Europea sembra sempre più totalmente appiattita su decisioni prese altrove, cosa ne pensa?

Torniamo a quello che diceva Henry Kissinger: “Se devo parlare con l’Europa chi devo chiamare?” che, in fondo, significa chiedersi qual è la legge che regge questa unione di stati. L’Unione europea come soggetto politico non esiste, fa scelte errate ed erratiche e il livello del personale politico, da Ursula von der Leyen a Charles Michel è davvero modesto. Basta vedere quello che sta succedendo nei Balcani dove la Croazia viene fatta entrare nell’euro mentre la situazione del Kosovo rimane irrisolta. I paesi dell’Est Europa, la Polonia in particolare, hanno ormai perso la fiducia nell’Ue e per questo fanno riferimento soprattutto alla Nato e quindi agli Stati Uniti. Francia e Germania, cercano di resistere a questo moto di convergenza verso gli Usa. La Gran Bretagna ormai è sganciata, fa parte dell’anglosfera e lo abbiamo ben visto in questo anno di guerra. Possiamo dire che il fallimento europeo è uno dei fattori alla base del rafforzamento russo e delle mosse compiute dal Cremlino. Come se non bastasse la Banca centrale europea sta completamente sbagliando la sua lettura dell’inflazione che non dipende certo dai salari, anzi molto sacrificati.

La Germania è il paese che aveva fatto più affidamento su un gas russo a buon mercato per finanziare il suo modello di crescita economica. Ora si trova fare i conti con una nuova normalità, il prezzo del gas è sceso molto dai picchi raggiunti in estate ma rimane su valori storicamente elevati. Un fattore che è destinato ad erodere la competitività dell’industria tedesca ed europea. All’inizio del conflitto Berlino sembrava volersi smarcare dalla linea statunitense, poi questa intraprendenza sembra essersi molto attenuata…

Anche in Germania si scontrano visioni differenti, c’è una parte del paese che vuole semplicemente stare con chi vince e rinnega la linea tedesco-russo-cinese impostata da Gerhard Schröder e poi portata avanti da Angela Merkel ed Olaf Sholtz. Persino i liberali, su questo, sono spaccati al loro interno. Personalmente sono convinto che gli Stati Uniti siano tornati a pensare di voler fare della Germania “un campo di patate” e quasi non gli par vero di avere questa guerra a disposizione per indebolire l’economia tedesca. Quella dell’annichilimento di Berlino è un’idea ricorrente a Washington, così doveva essere dopo la seconda guerra mondiale se non che a Berlino arrivò Stalin e così il paese tornò utile come argine all’espansione sovietica.

Pochi giorni fa il New York Times ha riportato indiscrezioni di fonti dell’intelligence americana secondo cui, dalle prime risultanze delle indagini sul sabotaggio del gasdotto Nord Stream, emerge una responsabilità di non meglio precisati gruppi pro Ucraina. Va detto che il gasdotto, e soprattutto il suo raddoppio completato a inizio 2022, è sempre stato osteggiato dagli Stati Uniti che lo percepivano come un ulteriore elemento di avvicinamento tra Berlino e Mosca. Eppure subito dopo le esplosioni che lo hanno gravemente danneggiato lo scorso settembre si è puntato il dito contro Mosca. Che opinione ha di questa vicenda?

L’accusa iniziale ai russi mi è sempre sembrata priva di senso. Non sono così stupidi da danneggiare un’infrastruttura costruita da loro, costata miliardi di euro e che serve innanzitutto a loro. Logica lasciava supporre che le responsabilità fossero altrove, forse in Polonia o, come sembra ora sostenere il New York Times, in gruppi estremisti ucraini. Si tratta comunque di un’operazione che richiede competenze di alto livello, basti pensare che i gasdotti sono monitorati costantemente e dispongono di sensori a scopo di sicurezza antisismica. Mi pare evidente chee il sabotaggio sia stato fatto in funzione anti tedesca e questo ci riporta a quanto dicevamo all’inizio, al fatto che il conflitto in Ucraina sia anche il risultato di un attrito tra diverse forme di capitalismi.

Gli Stati Uniti sbagliano qualcosa?

Questa visione per cui le democrazie si arrogano il diritto di intervenire nei paesi che democratici non sono a volte genera conseguenze gravi. Sono eventualmente le persone che abitano questi paesi che devono attivarsi per ottenere cambiamenti, se lo vogliono. La scelta dell’ ingerenza diventa particolarmente nefasta quando si decide di mettere completamente al bando degli stati, interi popoli. È una politica profondamente sbagliata. Si deve parlare con tutti, fare commerci con tutti. Rileggiamo Montesquieu, le doux commerce, il commercio gentile che avvicina politicamente i paesi e allontana la guerra. Un commerciante, pur venendo da lontano non è mai percepito come un nemico. Joe Biden dovrebbe darsi una calmata, dovrebbe ascoltare almeno per un paio d’ore quello che dice Henry Kissinger, il cui insegnamento, personalmente, continuo a vedere come un faro. Ma mi pare che anche il livello del personale diplomatico e dei consulenti strategici di Washington mi pare si sia gradualmente impoverito.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato quello che ha battezzato “piano Mattei” per cui l’Italia diventerebbe una sorta di hub per convogliare verso l’Europa gli idrocarburi provenienti dall’Africa che dovrebbero, almeno in parte, compensare la riduzione dei flussi dalla Russia. Come valuta questo progetto?

Penso sia una mossa intelligente, come è stato intelligente andare in India. Sebbene non quanto in Arabia Saudita e Medioriente, in Africa c’è una disponibilità importante di petrolio e gas. E se esiste una società che può svilupparne di più la produzione questa è la nostra Eni. Non certo le compagnie statunitensi e tanto meno la francese Total, ex Elf Aquitaine. La Francia in Africa sta via via perdendo influenza. Cito, come molto emblematico, il fatto che in Mali sia stato abolito lo studio del francese come seconda lingua. Più in generale sono convinto che il futuro dell’Europa sia strettamente legato a quella dell’Africa e invece, in Africa, ci sono la Cina….e la Russia! Dobbiamo capire che il nostro futuro economico passa per un vero e proprio partenariato con l’Africa. Con flussi migratori non a senso unico, sembra paradossale ma ci sono paesi africani con gravi carenze di mano d’opera anche per l’impegno nell’esercito di buona parte della popolazione. La Repubblica democratica del Congo, ricchissima di risorse è grande quanto mezza Europa e conta 95 milioni di abitanti. Certo sono aree che vanno “bonificate” da guerriglie e bande armate e questo possono farlo solo gli stati, le aziende ragionano solo sul periodo, su guadagni veloci.

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