È possibile ritardare il danno prodotto dalla distrofia sui muscoli e migliorare le condizioni dei pazienti e le loro aspettative di vita? Potrebbe. Questo perché un gruppo di ricercatori dell’Inserm di Parigi guidato da una ricercatrice italiana originaria di Lodi, Valentina Taglietti, ha scoperto un nuovo meccanismo molecolare, che, almeno sui ratti, ha permesso di ottenere questi risultati.

La distrofia muscolare di Duchenne è una condizione muscolare grave e progressiva causata da mutazioni nella proteina muscolare distrofina. Queste mutazioni rendono le fibre muscolari vulnerabili a ripetuti cicli di danno e interrompono la normale rigenerazione muscolare, portando infine a una debolezza muscolare letale. “In pratica – ha spiegato Taglietti a 30Science.com – abbiamo scoperto che la Distrofia muscolare di Duchenne comporta una perdita di rigenerazione muscolare sia nei pazienti (bambini con la distrofia di Duchenne) che sul nostro modello animale. Praticamente il muscolo perde precocemente la capacità di riformare le nuove fibre e questo succede in tutti muscoli tranne nei muscoli extra oculari che sono un gruppo di sei muscoli che ci permettono di muovere l’occhio. Perché questi muscoli rimangano del tutto immuni alla malattia è ancora un mistero per la biologia, quindi abbiamo deciso di sfruttare questa conoscenza per vedere come questi muscoli si rigenerano durante la patologia, puntando l’attenzione sulle cellule staminali di questi muscoli e confrontandole, attraverso un’analisi trascrittomica, con le staminali degli altri muscoli che invece sono malati. In questo modo abbiamo trovato un profilo di espressione genica differente e ci siamo focalizzati su questo recettore”.

Si tratta del recettore dell’ormone stimolante la tiroide (TSHR), che attiva l’adenilato ciclasi e aiuta a prevenire la senescenza precoce delle cellule staminali muscolari. Inoltre, il trattamento dei ratti con forskolina – un composto isolato da un estratto di radice che attiva l’adenilato ciclasi – ha aumentato sia la proliferazione delle cellule staminali muscolari nei muscoli malati, sia la rigenerazione muscolare, migliorando la forza muscolare e la resistenza nei test fisici. In altre parole “Siamo riusciti – spiega Taglietti – a ristabilire la rigenerazione muscolare in tutti i muscoli e a stimolare le staminali anche degli altri muscoli (quelli colpiti dalla malattia di Duchenne) per continuare a rigenerare nuove fibre”. Si tratta di un risultato molto importante perché “nella Duchenne – spiega la ricercatrice – il problema è che i muscoli, perdendo questa capacità di rigenerazione, non producono più nuove fibre e alla fine il tessuto muscolare viene sostituito da fibrosi o da tessuto adiposo. A quel punto nessuna terapia potrà mai funzionare perché ormai il muscolo è morto e nemmeno le terapie che puntano a ristabilire la produzione di distrofina potranno mai funzionare per il semplice motivo che non c’è più un tessuto muscolare su cui intervenire”. Con questo nuovo approccio non si sta curando la distrofia “che – spiega Taglietti – è una malattia di origine genetica, che continua a produrre i suoi effetti sull’organismo, ma la nostra idea è quella di riuscire a mantenere la struttura muscolare il più possibile, stimolando la rigenerazione, in modo tale da migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie e rendere i bambini eligibili per futuri trial clinici”. Si tratta di evitare a questi bambini la sedia a rotelle, la respirazione assistita, il supporto per la colonna vertebrale. “Speriamo di dare qualche anno in più a questi bambini e di dare loro anche una vita migliore”.

Manca ancora tanto prima di arrivare a un sperimentazione clinica sull’uomo. “Ora – dice Taglietti – stiamo facendo un test preclinico a lungo termine per vedere se questa terapia funziona su modello animale con un trattamento più lungo rispetto a quello che abbiamo proposto in questo primo lavoro. Stiamo verificando se questa terapia ha un effetto anche a livello cardiaco e del diaframma, i muscoli più compromessi dalla patologia, e, inoltre, stiamo cercando di rendere questa molecola più specifica per poter interagire in maniera ottimale con le staminali dei muscoli. Infine vorremmo verificare se questa terapia possa essere usata congiuntamente ad altri approcci, per esempio alla terapia genica”.

Emanuele Perugini

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