Il conto alla rovescia è partito: tra la primavera del 2023 e il 2024 dovranno essere rinnovati i consigli di amministrazione di ben 135 società a controllo pubblico. Si va dai colossi di Stato come Eni ed Enel, a realtà più piccole ma non meno importanti. Sono poltrone che contano e la partita all’interno della maggioranza sembra prefigurarsi come tutto tranne che pacifica. Il primo segnale in tal senso è arrivato in giornata con una nota della Lega di Salvini: “L’Italia deve mostrarsi all’altezza delle sfide più delicate, a partire dalla politica energetica su cui il governo è particolarmente attento. È bene sottolineare che anche le grandi aziende di Stato come Eni ed Enel devono cambiare profondamente le loro politiche e il loro approccio alla modernità. Serve un cambio di passo“. Parole chiare, quasi un monito al governo di cui il partito di Salvini fa parte, di certo una manifestazione di interesse per i vertici dei due colossi. A quanto filtra in ambienti della Lega, questo approccio non va assolutamente letto come una pura e semplice richiesta di poltrone, ma come la necessità di modellare con nuovi criteri di scelta tutto il sistema delle partecipate.

Resta il fatto, che dopo l’alert lanciato sulla Rai, via Bellerio torna a farsi sentire su un tema che coinvolge le principali controllate pubbliche. In primo luogo perché un tavolo tecnico non esiste ancora, anche se alcune fonti di maggioranza liquidano la discussione come prematura. Si apriranno i dossier non prima di marzo, sono convinti in molti nella maggioranza. Altri ammettono che si è comunque in alto mare. Da qui la fibrillazione. La Lega se ne fa interprete e prova a forzare la mano, citando espressamente le due importanti aziende pubbliche del settore energetico. Parole che tra le forze politiche vengono lette anche come la preoccupazione che su questo dossier la premier possa seguire il cosiddetto metodo Draghi, con decisioni che metteranno i partiti di fronte al fatto compiuto.

Giorgia Meloni potrebbe dettare la linea non solo sui nomi dei prossimi vertici delle grandi imprese pubbliche, ma anche sul risiko delle poltrone nei consigli di amministrazione, si ragiona in alcuni settori della maggioranza. Un esempio sarebbe la Rai, su cui Palazzo Chigi sembra aver scelto, al momento, la strada della cautela. Per ora non sarebbe in discussione la sorte dell’ad Carlo Fuortes, nominato nel 2021 e con un mandato che scade fra un anno. Ma le pressioni sono forti anche su questo fronte, con la poltrona del Tg1, occupata attualmente da Monica Maggioni, che resta ambitissima. Così come quella di Stefano Coletta, il responsabile di Rai1 – reduce da un’edizione del festival di Sanremo poco amata dalla maggioranza – considerato da chi è al governo figlio di una stagione passata. Un discorso a parte viene fatto sull’organigramma dell’Eni. L’orientamento che circola tra i partiti della maggioranza è che sarà molto difficile sostituire l’amministratore delegato Claudio Descalzi dopo la performance mostrata negli accordi energetici con l’Algeria e la Libia su cui Meloni si è spesa in prima persona. Piuttosto, si tratterebbe di rivedere il blocco del management intermedio, creatosi – strato dopo strato – con scelte prese da altri partiti, a cominciare dal Pd – è la convinzione – e in altre situazioni. Partita diversa per l’Enel: al posto del Ceo Francesco Starace, alla guida dal 2014, da tempo si fa il nome di Stefano Donnarumma, ma le carte sono ancora copertissime. In questo quadro complesso scatta il gioco dei veti incrociati e delle partite di scambio tra i partiti. Un gioco che fa entrare in primo piano proprio le nomine ancora in ballo per la Rai. Ma la situazione è ancora ferma al palo, e in molti guardano ai piani alti di palazzo Chigi e del Tesoro per cercare di capire che tipo di partita si potrà giocare nei prossimi mesi su questo fronte.

Di certo quelle di Eni, Enel e Rai non sono gli unici posti ambiti. La lista è lunga e rappresenta una fetta importante di potere. Si va dalle grandi partecipate del Mef e di Cdp (Enel, Eni, Terna, Fs, Rai) fino alle società più piccole, controllate di secondo o terzo livello, come Manifattura Tabacchi o Corneliani, la storica azienda tessile di Mantova trasformata nel 2021 in una newco con un intervento massiccio di Invitalia. Secondo il monitoraggio della Camera, nel 2023 rientreranno nella raffica di nomine affidate al governo Meloni gli organi di amministrazione di 18 società direttamente partecipate dai ministeri, 49 società di secondo livello, a loro volta cioè partecipate dalle grandi controllate, e 3 società di terzo livello indirettamente partecipate da Cassa Depositi e Prestiti. Al 31 dicembre 2023, invece, scadranno e dovranno quindi essere rinnovati nel 2024 gli organi di amministrazione di 10 società direttamente partecipate, 51 società di secondo livello e 4 società di terzo livello indirettamente partecipate da Cdp.

Quest’anno tra le società a diretto controllo del ministero dell’Economia compaiono Amco, Banca Monte dei Paschi di Siena, Cinecittà (limitatamente a due consiglieri), Consap, Consip, Enav, Enel, Eni (partecipata al 4,4% dal Mef e al 26,2% ma rientrante comunque nelle nomine dirette del ministero), Equitalia Giustizia, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Ita, Leonardo, Poste Italiane, Sogesid, Sport e Salute (limitatamente alla carica di presidente/ad), Sogin (l’incarico della struttura commissariale della società scade il 18 luglio 2023). Tra le controllate degli altri ministeri compaiono invece Difesa Servizi (ministero della Difesa) e Ferrovie Appulo lucane (Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti). Tra quelle di secondo livello spiccano Poste Pay e Poste Vita (controllate di Poste), Rai Cinema e Rai Way (Rai), Infratel (Invitalia), Rfi e Trenitalia (FS), Avio (Leonardo), Enel Plenitude, LNG Shipping, Raffineria di Gela (Eni), Acquirente Unico (Gse).

Tra quelle di terzo livello compaiono invece Terna (Cdp Reti) e Manifattura Tabacchi (Cdp Immobiliare). Nel 2024 tra le società direttamente partecipate dal Mef toccherà innanzitutto proprio a Cassa depositi e prestiti, che a sua volta dovrà nominare i vertici di Fintecna. Per Cinecittà il ministero dovrà invece nominare il presidente, l’a.d e un consigliere. Sempre tra le partecipate di Via XX Settembre saranno invece da rinnovare interamente invece il cda di Eur, Gse, Invimit, Mefop, Rai, Sogei, Sose e Ferrovie dello Stato, che a sua volta nominerà quelli di Anas, BusItalia e Italferr. Ad Eni spetterà invece il rinnovo dei gasdotti Trans Tunisian Pipeline Company e Transmed, oltre che di Saipem. Ad Invitalia, oltre Corneliani, spetterà infine il compito di rimettere mano all’ex Ilva con il rinnovo del consiglio di Acciaierie d’Italia.

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