La procura svizzera ha avviato un procedimento penale contro gli autori delle fughe di notizie sui detentore di 18mila conti presso il gruppo Credit Suisse. I dati che riguardano una contabilità che va dal 1940 al 2010 erano trapelati lo scorso febbraio, pubblicati dal quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung che li ha poi condivisi con altre testate. Al momento resta ignota l’identità della persona o dell’organizzazione responsabile della fuga di notizie. Dalle carte era però emerso come tra i depositari del gruppo svizzero risultassero anche narcotrafficanti, politici corrotti e organizzazioni criminali e soggetti che violavano diritti umani. In tutto i depositi attribuibili a questi soggetti ammontavano a circa 100 miliardi di dollari. I giudici elvetici indagano, dopo l’autorizzazione del governo centrali, per spionaggio aziendale, violazione di segreti commerciali e violazioni delle leggi sul segreto bancario.

L’indagine non è però priva di risvolti problematici poiché ripropone l’opacità della Svizzera e la domanda su fino a che punto il paese sia disposto a spingersi per tutelare il segreto bancario dei suoi istituti di credito. In questo caso infatti vengono infatti perseguiti gli informatori e non gli autori delle attività criminali che ne beneficiavano. Dopo la fuga di notizie Credit Suisse aveva affermato che i conti citati nei documenti erano ormai per il 90% chiusi o in procinto di esserlo e definito l’accaduto un’operazione per screditare la banca. Alla domanda se fosse stata Credit Suisse a sporgere denuncia per la diffusione dei dati il portavoce dell’istituto ha affermato che “la banca non commenta indagini in corso”. L’istituto ha da poco completato un aumento di capitale da 4 miliardi di franchi svizzeri che hanno rafforzato le quote dei soci medio orientali. I primi azionisti della banca sono oggi la Saudi National Bank con il 9,9%, Qatar Holding con il 5% e Olayan group con il 4,9%.

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