Il treno per l’autonomia differenziata è partito tra l’esultanza della Lega e le proteste delle opposizioni, nonché di un presidente di regione di centrodestra come Renato Schifani. La bozza di Roberto Calderoli, trasformata in un disegno di legge limato e corretto a lungo, è stato approvato dal Consiglio dei ministri. All’unanimità e fra gli applausi, raccontano i presenti. E segna il primo round vinto dal Carroccio, che riprende le fila del sogno che fu di Umberto Bossi, ma andando oltre. Esulta quindi il padre della riforma: “È un giorno storico”, scandisce il ministro per gli Affari regionali, convinto che sia “una riforma necessaria per modernizzare l’Italia” e che potrà farcela per la fine del 2023, come promesso. Sceglie toni più misurati Giorgia Meloni, che non partecipa alla conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri, non ci mette la faccia lasciando il palcoscenico al ministro leghista. Ma accoglie il voto come il primo step per “costruire un’Italia più unita, più forte e più coesa”. Rimarca poi la coerenza verso i cittadini e la lealtà verso la coalizione: “Questo provvedimento dimostra ancora una volta che il governo manterrà gli impegni presi”, si limita a dire ai suoi.

In realtà, si tratta del primissimo ok di una gimcana che si preannuncia più lunga di una riforma costituzionale (che richiede quattro passaggi tra Camera e Senato e altrettanti voti). E parecchio tortuosa, visto che coinvolgerà governo, Parlamento, Conferenza unificata e Regioni in un ping pong complesso che potrebbe scatenare anche il fuoco amico nella maggioranza. Non è un mistero che Forza Italia, in primis, ma anche Fratelli d’Italia, temano che la riforma finisca per penalizzare le regioni del Mezzogiorno, dove entrambi contano un ampio bacino di voti. Da qui la freddezza degli azzurri nei commenti. A partire da Silvio Berlusconi: “Questo è l’avvio di un percorso che dovrà essere condiviso in Parlamento – precisa il presidente di FI – dove il testo potrà essere ulteriormente migliorato”. Dunque la riforma non è in mano solo al governo e ai leghisti – sembra voler ricordare l’ex presidente del Consiglio – ma si concluderà “soltanto dopo la definizione dei Livelli essenziali di prestazione (Lep) e del loro effettivo finanziamento”. Un’ultima zampata la dà ricordando il “decisivo contributo” del suo partito al testo, garantendo che “non ci saranno cittadini di serie A e di serie B”.

Un impegno che Calderoli ripete più volte parlando ai giornalisti. Accanto a lui i ministri per le Riforme, Elisabetta Casellati, e per gli Affari europei, Raffaele Fitto. Anzi, il leghista ribalta le accuse: “L’esistenza di cittadini di serie A e B è una realtà” e soprattutto “è un problema frutto di una gestione centralista”. Non si sottrae nemmeno al coinvolgimento del Parlamento su cui si sono concentrate gran parte delle correzioni delle ultime ore e sollecitate espressamente da Palazzo Chigi. Poi Calderoli tira dritto sui tempi: “Entro 12-13 mesi” il Parlamento dovrebbe approvare il disegno di legge e nello stesso arco di tempo la cabina di regia, con tutti i ministri competenti, dovrebbe varare i Lep per arrivare “a inizio 2024” con l’esame delle proposte di autonomia differenziata da parte del governo.

Tace Matteo Salvini, se non per il messaggio che manda ai suoi via chat: “È un’altra promessa mantenuta”, scrive. Si accoda il governatore veneto Luca Zaia che ringrazia il governo per gli impegni rispettati e conclude che “è una bellissima notizia che fa di oggi una giornata storica”. Dure le opposizioni, che contestano una riforma già ribattezzata “spacca Italia” per i rischi paventati di acuire le disparità tra Regioni. Oltre che interpretarla come una merce di scambio concessa dalla premier alla Lega a una settimana dalle regionali in Lombardia, per sperare di strappare qualche voto in più. Il Pd va oltre a promette di alzare le barricate contro una proposta “irricevibile”. Lo annuncia Stefano Bonaccini: “Siamo pronti alla mobilitazione perché non è stata condivisa con la Conferenza delle Regioni, cosa clamorosa e incredibile, e perché è un’autonomia differenziata che non tiene conto delle nostre proposte e va nella direzione di spaccare il Paese”.

Elly Schlein, sua rivale alla segreteria, chiama a raccolta i presidenti di Regione del sud e in particolare quelli dem – da sempre ostili o scettici sul progetto Calderoli – perché chiedano “una convocazione urgente della Conferenza Stato-Regioni che, a suo avviso, è stata “ignorata e umiliata dal governo e da Calderoli che non ha voluto fare un passaggio preventivo col voto delle Regioni”. Ma voci di dissenso si levano anche dal centrodestra. Renato Schifani, governatore della Sicilia, si è detto “contrario all’idea di una Italia a due velocità” e si è detto “convinto che prima di tutto sia necessaria una omogeneizzazione degli aspetti infrastrutturali ed economici del nostro Paese”. E ha aggiunto: “I miei colleghi governatori del Nord conducono battaglie a difesa dei loro territori sostenendo anche una maggiore capacità nel versamento dei tributi, ma – ha osservato – su servizi essenziali come sanità e scuola resto convinto che non possono esserci medici o professori più pagati al Nord e meno al Sud”.

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