di Raffaele Garbellano

Sulla crisi di identità della sinistra ormai si è detto tanto. Il tema è stato affrontato in tutte le sue forme. Abbiamo sentito poco invece sulla crisi di identità che investe la destra, ma che non emerge abbastanza per maggiore pragmatismo dei suoi leader, misto a pressappochismo, e forse per un elettorato mediamente meno esigente sul piano ideologico. Le contraddizioni della compagine di destra sono molto forti e insistono sia sul piano teorico che su quello pratico.

In teoria nella coalizione di governo convivono forzosamente un partito liberale (ex) di massa (Forza Italia), uno federalista e liberista sul piano economico (Lega) e uno nazionalista e neo-conservatore che viene dalla destra sociale (Fratelli d’Italia). È evidente che tutte queste istanze siano incompatibili tra loro. Esse coesistono sicuramente in virtù della necessità di mettere insieme i voti. Ma coesistono anche perché i tre partiti in questione nel concreto operano lontano dai principi ai quali si ispirano. Essi sono di fatto un grande blocco corporativista e conservatore. È questo il vero elemento che li accomuna di fatto.

È evidente quindi che già nei primi mesi di governo le dissonanze siano emerse tutte sul piano pratico: la campagna elettorale sulle pulsioni della destra sociale e sovranista verso le scelte invece europeiste sul piano del bilancio. La deregulation sul controllo dell’evasione fiscale in contrasto con la tradizione legalitaria della destra. Le esternazioni del ministro della Giustizia, che odorano di berlusconismo (e che sottintendono una auspicata impunità sui reati di corruzione), in contrasto con la cultura propriamente giustizialista della destra. Fossi un elettore di destra sarei in forte imbarazzo di fronte a tale centrifuga di contraddizioni ideologiche e pratiche.

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