Se c’è una cosa che accomuna, dal punto di vista politico, fascismo (anche in certe sue varianti edulcorate) e capitalismo (specie nella sua versione neoliberale, che è quella che va per la maggiore, specie dalle nostre parti) è la tendenza, per la verità alquanto vigliacca, a prendersela con i deboli e a lasciar stare i forti. Ciò contribuisce a spiegare continuità e l’intenso feeling esistenti tra Mario Draghi e Giorgia Meloni, coi rispettivi mondi di riferimento.

Hanno infatti in comune, innanzitutto, l’omaggio servile nei confronti dei potenti a cominciare dagli organismi europei e internazionali che decidono, fin nei dettagli, la “nostra”, in realtà loro, politica estera e anche quella interna (“ahi serva Italia di dolore ostello” diceva Dante Alighieri e non è cambiato granché da questo punto di vista). Dismessa la finta manfrina “sovranista”, Meloni si appresta a ratificare senza se e senza ma il famigerato Meccanismo europeo di stabilità (Mes) comunemente ritenuto un marchingegno di nessuna utilità economica o tantomeno sociale, ma volto solo a ribadire in modo esagerato la totale subalternità di ogni scelta di politica economica e di bilancio ai sordi diktat dell’Unione europea. Per non parlare, ovviamente, della totale condivisione della sciagurata scelta della Nato di continuare a oltranza la guerra, sulla pelle del popolo ucraino, contro la Russia che rasenta ogni giorno di più il baratro del terzo conflitto mondiale e che, se andiamo avanti così, finirà per caderci dentro. Lo schieramento a fianco dei forti contempla anche il sostegno al governo israeliano dell’apartheid e dello sterminio sistematico dei Palestinesi.

Sul terreno è evidente l’intento di questo governo di umiliare i poveri, che da vittime si vorrebbe far diventare capri espiatori dell’attuale difficile situazione che sta vivendo il nostro Paese, mentre lavoratori e lavoratrici vengono privati dei loro diritti e sospinti, sempre più, nella palude del precariato e i salari italiani sono i più bassi di tutta l’Ocse e continuano a perdere potere d’acquisto. Per non parlare poi della cosiddetta autonomia differenziata che renderà più profonda la spaccatura tra territori forti e territori deboli.

Rientra fra gli obiettivi di questo governo, così come di quello che lo ha preceduto, anche il pervicace smantellamento di ogni sfera e funzione pubblica, a cominciare da quella fondamentale della giustizia, che è funzionalmente destinata al contenimento di ogni violenza ed oppressione privata. Questo è infatti il senso profondo della cosiddetta riforma Cartabia, oggi rilanciata da Nordio, che ha scientemente programmato la liquidazione della giustizia italiana al fine di acquisire un ipotetico plusvalore dell’Italia da spendere in omaggio a ideologie neoliberali spinte fino al parossismo. La giustizia diventa un affare privato, tra l’esultanza di mafie, criminali in genere e maschi inclini al femminicidio. Il pugno duro viene riservato solo a chi osa ribellarsi. Il 41 bis invece che a membri non pentiti della criminalità organizzata viene riservato ad anarchici gravemente ammalati come Alfredo Cospito. Vengono colpiti giovani, operai, poveri, donne, offerti come vittime sacrificali sull’altare del contributo dell’Italia all’Occidente capitalistico nell’attuale orribile contingenza dell’inizio del Terzo Millennio.

Si tratta quindi di un governo che, come i suoi predecessori e più di loro, sta arrecando danni irreparabili all’Italia e che occorre fermare al più presto. Ma la vera fortuna di questo governo è costituita dalla farlocchitudine dei suoi pretesi oppositori, colla parziale eccezione del Movimento Cinque stelle rinnovato da Giuseppe Conte. I sindacati storici sono pavidi e irresoluti, mentre avrebbero dovuto da tempo convocare uno sciopero generale di almeno ventiquattr’ore. Il Pd è un relitto in via di decomposizione da cui si sprigionano esclusivamente ridicole competizioni interne e nessuna indicazione utile contro il governo, anche perché buona parte dei suoi cosiddetti dirigenti sono stati irreparabilmente contagiati dal draghismo, di cui oggi Giorgia Meloni è l’interprete più affidabile e la continuatrice più efficace.

Ma, contro venti e maree, occorre oggi impugnare e sventolare la bandiera dell’opposizione più intransigente a questo governo nel nome del popolo italiano e dei suoi interessi immediati e strategici. Ecco perché ho accettato la proposta di Unione Popolare di candidarmi al numero 20 delle sue liste alle elezioni regionali del Lazio. Comincia un cammino che sarà arduo e non breve, per dare al nostro Paese e soprattutto ai suoi giovani una prospettiva politica degna e vissuta all’insegna della solidarietà riprendendo quanto affermato dal nostro sommo poeta, oggi ingiustamente vilipeso dalla destra, che tenta di appropriarsene, ignorando probabilmente, fra le tante cose, che egli attribuì enorme importanza proprio al concetto della giustizia. Tutte e tutti, quindi, contro il governo di Giorgia Meloni, nel nome della “viva giustizia che ci spira”.

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