Benedette intercettazioni, beate perquisizioni. In Europa fan cadere le “mele marce” in cima al ramo più alto d’un Parlamento. E in Italia? Sono le mele a dare il “permesso”. Desta clamore l’arresto di Eva Kaili, coinvolta nell’inchiesta per corruzione, nel cuore delle istituzioni europee, legata a presunte tangenti per parlare bene del Qatar o del Marocco, impegnati nei Mondiali nel Golfo. L’indagine va avanti, ma la domanda che arrovella tanti è: “come è possibile”?. Com’è che a Bruxelles viene arrestato un vice presidente, quando a Roma servo nullaosta delle Camere e bolle papali anche per l’ultimo degli eletti? Abbiamo chiesto un parere a Paolo Passaglia, ordinario di Diritto comparato presso l’Università di Pisa. E la sintesi è “la normativa sui limiti alle indagini (derivanti dall’immunità, ndr) al Parlamento Europeo è ben più stringente di quella italiana che concede garanzie più ampie all’onorevole e margini più stretti alla magistratura”.

Per appurare che sia così, suggerisce il professore, bisogna comparare gli ordinamenti coinvolti nella vicenda. “Quello europeo fa riferimento all’articolo 9 del Protocollo sui privilegi e le immunità dell’Unione del 2014, il quale recita che ‘per la durata delle sessioni i membri beneficiano, sul territorio nazionale, delle immunità riconosciute ai membri del Parlamento del loro Stato’. Ma in questo caso l’arresto è avvenuto in Belgio e non in Grecia, dove l’immunità per altro vige solo per delitti puniti con pene detentive inferiori ai cinque anni. E dunque si applica la seconda disposizione relativa agli “eurodeputati sul territorio di ogni altro stato membro”, i quali non possono essere detenuti né oggetto di “procedimenti giudiziari” (la versione francese è più chiara al riguardo, perché parla di “azione penale”), a meno che non siano colti in “flagranza di delitto”. E dunque?

“Dunque, la normativa europea in materia di privilegi e immunità impedisce l’azione penale, vale a dire di portare a processo l’eletto senza l’autorizzazione (quell’autorizzazione che in Italia è stata eliminata nel 1993). Per contro è molto meno protettivo sul fronte delle indagini, cioè degli stessi strumenti che possono poi portare al processo. Non contempla infatti alcune limitazioni, previste invece da altri ordinamenti come quello italiano che ai sensi dell’art. 68 della Costituzione, prevede l’autorizzazione della Camera, non solo per l’arresto (salvo casi di flagranza), ma anche per le attività investigative tipiche ed essenziali come le intercettazioni o le perquisizioni personali e domiciliari”. Proprio queste attività sarebbero state il grimaldello per l’arresto? “Così sembra, nel senso che i magistrati belgi hanno svolto attività di indagine che li hanno portati alla scoperta del denaro che è stato verosimilmente ritenuto indice del delitto in flagranza, e nel momento in cui questo si è verificato hanno avuto modo di rifarsi alla previsione dell’articolo 9 secondo cui se c’è flagranza non si applica l’immunità e si può procedere con l’arresto”.

A onor del vero anche il Parlamento europeo prevede una richiesta di autorizzazione a procedere, giusto? “Certo, e ciascuno stato deve indicare l’autorità competente a formulare la richiesta. Per il Belgio, in base a una lettera ufficiale del 2013, nel ministro della Giustizia. In questo caso, se ci fosse stata una richiesta di arresto a carico del vicepresidente, si sarebbe attivata una procedura piuttosto complessa, che, visto il clamore della vicenda, avrebbe sicuramente attirato l’attenzione dei media. Per questo sono portato a credere che le autorità belghe, dopo aver svolto le indagini mediante intercettazioni e perquisizioni, abbiano raccolto sufficienti elementi per poter procedere all’arresto senza dover richiedere l’autorizzazione. La chiederanno se e quando decideranno di rinviare a giudizio l’eurodeputata”.

Se così non fosse stato, dunque, gli inquirenti avrebbero dovuto richiedere alla Presidenza una revoca dell’immunità, da discutere prima in Commissione Affari Giuridici e poi in aula. Consentendo così ai soggetti “attenzionati” di sviare le indagini o far sparire le prove. Su questo, per altro, si gioca ancora la partita a scacchi tra magistrati e indagati: la difesa di Kaili starebbe presentando un ricorso proprio per contestare la violazione delle immunità previste dal regolamento parlamentare. Ma le indagini e l’arresto ci sono stati, e gli interrogatori dei fermati (Panzeri, Visentini, Giorgi e il padre della Kaili) potranno fornire nuove rivelazioni e prove a carico, informazioni utili a proseguire l’inchiesta e presentare una clamorosa richiesta di perquisizioni a tappeto nel tempio di Bruxelles, e di rimbalzo a Strasburgo, previa autorizzazione del suo presidente.

E sul fronte italiano? Come si è visto, le autorità belghe hanno chiesto di convalidare gli arresti dei soggetti italiani, in Italia, che non sono parlamentari, né italiani né europei, a partire dallo stesso Antonio Panzeri. “Nel caso lo fossero stati, ai sensi del protocollo europeo sulle immunità gli inquirenti avrebbero dovuto rifarsi al ben più cautelante articolo 68, dove la previsione dell’arresto è più o meno la stessa, in flagranza, ma le attività tipiche degli organi inquirenti – come la perquisizione personale e domiciliare, come le stesse intercettazioni – devono essere preventivamente autorizzate dalle camere di appartenenza. E questo, proprio alla luce della vicenda di Bruxelles, si dimostra un’anomalia. Da una parte non abbiamo le autorizzazioni per l’azione penale, che l’Italia ha tolto dal 1993, dall’altra sottoponiamo al vaglio preventivo delle Camere proprio quelle attività che dovrebbero consentire di raccogliere elementi per portare al processo. Questo è un elemento di incoerenza delle guarentigie parlamentari, che differenzia il nostro Paese dalle previsioni di altri Paesi dell’Unione e da quelle in uso presso il Parlamento Europeo di cui facciamo parte”.

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