E’ noto come la destra italiana di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi sia pessima, come si premurano ogni giorno di dimostrarci con le loro strampalate esternazioni, testimonianza sconvolgente di una rara mistura di analfabetismo intellettuale e pensiero reazionario di stampo parafascista (si veda da ultimo le dichiarazioni di Giuseppe Valditara sulla necessità di umiliare i giovani, peraltro già abbondantemente da anni umiliati da un sistema capitalistico tra i peggiori del mondo conosciuto) e ancora di più coi loro sciagurati provvedimenti, dalla punizione dei poveri, destinati a essere liquidati come carico residuale (copyright Matteo Piantedosi) alla premiazione di evasori fiscali, corrotti e delinquenti vari, purché in colletto bianco. Tutto può quindi dirsi di male e peggio di questa orripilante congrega di politici di lungo corso cui solo lo stomaco a prova di bomba dell’elettorato italiano consente di stare ancora per così dire sulla cresta dell’onda, tranne che non siano fortunati e parecchio.

Fortunatissimi, anzi, e la loro più grande fortuna ha un nome e un cognome. Si chiama Enrico Letta, il cui “pensiero” autolesionistico, degno del barone Leopold von Sacher-Masoch, ma senza ovviamente alcuna implicazione erotica, ha contagiato a fondo il Pd, sempre più Partito dei Depressi, che si avvia a prendere l’ennesima batosta in occasione delle prossime elezioni regionali, previste fra pochi mesi in Lazio, Lombardia Friuli-Venezia Giulia, Molise e Provincia autonoma di Trento.

La relativa cronaca è sconfortante, ma talmente paradossale da apparire l’invenzione di un genio insuperabile del male o della risata amara. Nel Lazio pare che i piddini si siano rassegnati a perseguire ad ogni costo l’alleanza funesta coi guastatori Carlo Calenda e Matteo Renzi rifiutando, a priori, ogni possibilità di convergenza coi Cinque Stelle che, anche solo da un punto di vista meramente aritmetico, costituisce l’unica speranza di non cedere alla pessima destra anche la regione della Capitale. Aprire il dibattito con Giuseppe Conte, infatti, come avvertito da Massimiliano Smeriglio nella sua intervista al Fatto di qualche tempo fa, sarebbe per il Pd necessario, ma nella piena consapevolezza che aprire un tale dibattito, come aggiunge Smeriglio, significa affrontare alcuni nodi di contenuto, posti dallo stesso Conte.

E qui cominciano i dolori, se è vero che su tali nodi gli uomini di panza piddini, per ragioni solo in parte note, non sembrano disposti a retrocedere di un solo millimetro, a cominciare dal famigerato inceneritore voluto ad ogni costo da Roberto Gualtieri che fu a suo tempo il principale pretesto per la rottura con Conte che spianò alla signora Meloni la strada del governo e del potere. Smeriglio fa quindi bene a incitare tutti a tornare sui loro passi e a ritrovare la via dell’alleanza e potrebbe essere probabilmente lui stesso un ottimo candidato alla presidenza della Regione Lazio, cui ha già dato molto. Ma ci sono forti dubbi che la frenesia autodistruttiva da cui sono posseduti demoniacamente i maggiorenti piddini cessi in tempo e modo tale da consentire una svolta di questo genere, anche perché essa comporterebbe la necessità di capovolgere scelte e modi di pensare che hanno caratterizzato il partito da ben prima che il nefasto Letta gli appioppasse il colpo di grazia.

Lombardia, ancora peggio, se possibile. Qui infatti, il deus ex machina destinato a quanto pare a distruggere ogni possibilità di vittoria dell’alternativa al governo di Fontana & C. – che ha fatto della regione più ricca d’Italia, quella nella quale si è registrato il maggior numero di decessi per Covid (43.509), pari a poco meno di un quarto di quelli verificatisi su scala nazionale e di molto superiore al Brasile per vittime per abitanti – si chiama Letizia Moratti. Quest’ultima, indispettita per essere stata trascurata da Salvini & C. si è rivolta a Calenda e al Pd, suscitando immediatamente l’entusiasmo del primo e dei peggiori settori del secondo. Anche banalmente sul terreno elettorale si tratterebbe, come rivelano i sondaggi, di una scelta perdente, mentre ottime chances spetterebbero a un’alleanza tra Pd e Cinque Stelle.

Si tratta quindi di un altro disastro annunciato le cui motivazioni profonde risiedono nella morte cerebrale del Pd divenuto terra di conquista e razzia per organismi parassitari di vario genere e del tutto incapace di procedere a una rielaborazione profonda delle proprie scelte, mettendo al centro, i valori della pace e del lavoro, come pure quelli del pubblico e del collettivo. Ma qualcuno dovrà pure farsi carico di questa iniziativa e le prossime elezioni regionali potrebbero costituire un’occasione in questo senso. Nonostante e alla faccia della pessima destra e dell’altrettanto pessimo Pd, succube nientemeno che di Calenda e Renzi.

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