Ieri sera mi faceva davvero un po’ pena vedere la faccia contrita di Stefano Feltri, costretto nel salottino della Gruber a difendere le mattane del suo editore, Carlo De Benedetti, improbabile stratega politico auto-nominatosi consulente Pd.

Dura la vita del direttore di una testata giornalistica controllata da un imprenditore in fregola di esercitare un ruolo nell’arena pubblica, grazie al cinismo semplificatorio con cui ha colto i propri successi negli affari. L’idea che la politica sia un risiko, in cui l’unico criterio che fa premio è la convenienza immediata. Ne sapeva qualcosa un giornalista ben più dotato in quanto a speroni del direttore di DomaniEugenio Scalfari – impegnato a tamponare (finché ha potuto) le fantasie debenedettiane e i suoi scenari onirici, per cui Concita De Gregorio direttrice de l’Unità avrebbe dovuto coprire lo spazio editoriale de la Repubblica, in modo da consentire a Ezio Mauro, allora direttore della testata scalfariana, la conquista dei tradizionali acquirenti del Corriere della Sera. Pensate di rara astrattezza, che presupponevano il posizionamento di un quotidiano come il restiling di un prodotto mass-market. Nella totale indifferenza verso fattori quali storia e valori, identità distintiva, immagine.

Ma forse, più che indifferenza si dovrebbe parlare di inconsapevolezza. Tipica della figura imprenditoriale che – in quanto tale – è meglio si astenga dai distinguo e dalle sottigliezze. Difatti, negli affari, l’uomo di successo è un portatore di certezze orientate allo scopo, senza fisime che lo impiccino.

Del resto tale mentalità è avvalorata ormai da un cinquantennio di egemonia della cultura d’impresa, che ha messo in un angolo i criteri della politica. Un ribaltamento sancito dal successo mondiale dell’operazione detta di “Terza Via”, teorizzata dall’allora direttore della London Scholl of Economics Anthony Giddens e messa in pratica dai due dioscuri anglo-americani Bill Clinton e Tony Blair. Cui fecero seguito una lunga serie di imitatori, anche nostrani; da Massimo D’Alema a Matteo Renzi. Tutti affascinati dalla ricetta presunta vincente per un partito di sinistra: dare per scontati i voti del proprio elettorato andando a intercettare quello di destra, facendo mostra di assumere per propri i suoi valori. Con il bel risultato di perdere dal tappo e dalla spina. Peggio: precipitando la sinistra nel baratro dell’estinzione.

Ispirato di questi precedenti l’ingegner De Benedetti si fa intervistare dal Corriere e pontifica: l’unica salvezza per il Partito Democratico allo sbando è candidare alla presidenza di Regione Lombardia nientemeno che sciura Letizia Moratti, in quanto garante del voto milanese nel triangolo d’oro via Senato – viale dei Giardini – corso Venezia. E si capisce subito che la dichiarazione non è casuale; si inquadra in un disegno a cui si sta lavorando da tempo.

Come rivela la presa di posizione del politico all’orecchio dell’Ingegnere (De Benedetti) – l’ex senatore Luigi Zanda – che annunciava il “Letizia Moratti for president” già la settimana scorsa. Tra l’altro in una maniera così maldestra (ma Zanda è Zanda) da risultare un involontario affossatore della candidatura. Paro, paro: per rilanciare la sinistra occorre affidarsi ai pacchi di voti controllati dai destri. Senza minimamente domandarsi quale potrebbe essere la reazione di un elettore tradizionale di sinistra trovandosi sulla scheda del proprio partito il nome di questo personaggio che da almeno cinque lustri starnazza i luoghi comuni di una borghesia milanese legge e ordine; che neppure è stata capace di tutelare le istituzioni meneghine dalla calata dei falchetti berlusconiani e dei valligiani bossiani; la protervia inerte dei dané, incarnata da una signora – la Letizia Brichetto in Moratti – il cui massimo successo politico è stato un buon matrimonio.

Dunque, un pedigree che neppure assicura il successo di un’operazione di brevissimo respiro, mentre l’esito certo è il definitivo accantonamento del progetto di dare un’anima a quell’avatar di partito che è il Pd. Problema non intercettato dai radar del business is business, mentre le strategie up-to-date della politica reazionaria (a cui si iscrivono anche questi machiavellismi di bassa lega) batte strade differenti dai truschini dei consulenti in comunicazione. Magari utilizza gli apporti delle scienze cognitive e delle neuroscienze per vincere le elezioni. Non un’anziana voltagabbana, in preda al furore perché la sua parte politica non la candida alla poltrona cui aspirava.

Ma questo è troppo difficile da capire per ottuagenari come De Benedetti e Zanda (o per funzionarietti di Confindustria alla Carlo Calenda, inebriati dal glamour dei ricchi).

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