Ora Santiago Abascal, leader di Vox, si appropria del termine partitocracia. È un déjà vu per noi italiani che, per decenni, abbiamo sentito Marco Pannella usare quel sostantivo – da lui stesso coniato – come un’invettiva contro il regime. Abascal, come Giorgia Meloni nei mesi che hanno preceduto il 25 settembre, avverte l’arrivo dell’onda giusta, pronta a trascinare il centrodestra sulla soglia della Moncloa nelle elezioni politiche di primavera. È questo il momento per dare impulso a tutto l’armamentario antisistema, con la partitocrazia vista come il male che soffoca il popolo e il referendum come la possibile cura per la fragile democrazia iberica.

Non è la riedizione di un intervento pannelliano su Radio Radicale, ma il manifesto programmatico, battezzato “España decide”, col quale Vox si lancerà a capofitto nell’agone elettorale. Il richiamo all’istituto referendario non è esplicito, la comunicazione dell’ultradestra punta sull’articolo 92 della Costituzione, norma che contempla la consultazione popolare per temi politici di “speciale rilevanza”. Il linguaggio, in politica, ha un peso specifico. In Spagna il termine referendum è legato alle rivendicazioni separatiste, quelle catalane principalmente; il riferimento alla carta fondamentale è divenuta prerogativa delle forze di destra.

Il voto popolare, mutuando il modello svizzero, dovrebbe investire tutte le questioni di maggiore interesse. Le politiche migratorie, il sistema educativo frammentato – secondo Abascal – danno un regionalismo troppo spinto, la legge sulla violenza di genere sbilanciata verso una tutela eccessiva delle donne. E poi la soppressione di tutti i finanziamenti a partiti e sindacati perché si chiuda “la fiesta de los poderosos” che ha lo stesso suono de “la pacchia è finita” di Giorgia Meloni. Infine la messa al bando, per via referendaria, dei partiti separatisti, un monito preciso per catalani e baschi, con i primi accusati di dichiarare unilateralmente l’indipendenza e i secondi additati per non aver mai condannato esplicitamente le violenze dell’Eta.

Ricette condite di populismo e machismo con forti richiami identitari. Per alimentare la grandeur nazionale ogni espediente è buono, persino le invenzioni del calciobalilla, del chupa-chups (rilevato peraltro da nota azienda italiana) o della siringa usa e getta. Rientrano nel bagaglio della propaganda di Vox per glorificare in pubblico il segno della Spagna nel mondo, ma malgrado gli ammiccamenti all’orgoglio patrio il populismo non sfonda.

Lo spazio politico è occupato da posizioni centriste. Nel campo di destra sono i moderati (populares) di Alberto Núñez Feijóo a dominare la scena. Accreditati nei sondaggi della maggioranza relativa (127 i seggi al Partito Popolare e 39 a Vox, secondo l’ultimo rilevamento), nel campo avverso sono i socialisti del premier Pedro Sánchez ad avere un ruolo chiave rispetto alla sinistra radicale di Podemos nata come forza dirompente contro il sistema e uscita ridimensionata dall’esperienza istituzionale.

Per Santiago Abascal la strada è lunga. Se vorrà costruirsi un ruolo governativo dovrà imparare a convivere con un partito tradizionale con robuste radici europeiste e soprattutto dovrà prendere le distanze dal folclore nostalgico che serpeggia negli ambienti dell’ultradestra. “Vamos a volver al ’36” (torneremo al ’36, anno del golpe di Francisco Franco) è il ritornello di una canzone ascoltata recentemente al Viva 22, un evento di Vox. Ne sono seguite polemiche e una denuncia per apologia di fascismo presentata dall’associazione per il recupero della memoria storica.

Lo scatto in avanti non sarà facile, le esperienze di governo fin qui maturate da Vox sono impalpabili. Da due anni è parte del governo di coalizione. Il Partito Popolare è il socio di maggioranza, in Castilla y León, estesa regione a nord di Madrid, dove annovera la vicepresidenza e tre assessorati, tra cui quello alla Cultura. Nelle leggi finanziarie finora approvate esigue le risorse per la cultura e alcun finanziamento per la Seminci, storico festival del cinema di Valladolid. Solo 290mila euro per promuovere l’arte della tauromachia. Di fronte a queste scelte anche il nostro ministro Gennaro Sangiuliano appare un gigante.

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