Scontro aperto in Forza Italia, vinto da Renato Schifani ai danni di Gianfranco Micciché, ma solo grazie all’aiuto esterno di Cateno De Luca. È questo l’esordio dell’Assemblea regionale siciliana che oggi, giovedì 10 novembre, ha aperto ufficialmente i lavori, dopo un mese e mezzo dalle elezioni.

Un esordio segnato da uno smacco per Micciché, che ha mancato la rielezione alla presidenza dell’Ars. Un voto che segna la rottura tra lo storico viceré di Silvio Berlusconi in Sicilia e il neo governatore, Renato Schifani, pure lui storico esponente di Forza Italia. Alla presidenza dell’Ars è stato eletto, con 43 voti su 70, Gaetano Galvagno, 37enne di Paternò, esponente di Fratelli d’Italia vicinissimo al presidente del Senato, Ignazio La Russa.

L’elezione di Galvagno, dunque, segna un punto a favore dell’asse tra il neo governatore e i meloniani: un’alleanza nata in estate quando proprio Fdi aveva indicato Schifani come candidato presidente da una rosa di tre nomi proposta dai berlusconiani. Una mossa, quella che già ad agosto era stata studiata direttamente da La Russa, che aveva preso in contropiede Micciché.

L’elezione di oggi, inoltre, porta allo scoperto il dialogo tra la maggioranza e una parte dell’opposizione: determinanti, infatti, pare siano stati i voti di Cateno De Luca, l’ex sindaco di Messina, arrivato secondo alle elezioni dopo una campagna elettorale all’insegna dell’attacco diretto proprio contro Schifani. Per il resto le 11 schede bianche sarebbero degli 11 deputati del M5s, mentre quelli del Pd si sono autovotati, permettendo la conta.

In pieno clima da redde rationem tra berlusconiani, quindi, si sono finalmente aperte le porte di Palazzo dei Normanni. Era la prima seduta dei nuovi consiglieri regionali (che in Sicilia si chiamano onorevoli e sono equiparati ai membri del parlamento nazionale) dopo un mese e mezzo dalle elezioni del 25 settembre. Un esordio avvenuto con un grave ritardo rispetto alla data delle elezioni: nell’isola si è infatti votato contemporaneamente per le politiche e le regionali, in un election day che è stato possibile grazie alle dimissioni di Nello Musumeci poi ripagato con l’ingresso nel governo nazionale come ministro del Sud e del Mare.

L’ex governatore non è stato ricandidato dopo mesi di fortissimo scontro con Micciché che si è fermamente opposto alla sua ricandidatura. Il vicerè berlusconiano ha avuto infine la meglio, ma con conseguenze che dopo oggi appaiono amarissime. Mentre, infatti, Musumeci è stato ricompensato con un posto nel governo di Giorgia Meloni, Micciché – eletto al Senato e pure in Sicilia non ha ottenuto la rielezione a presidente dell’Ars ed è rimasto fuori dal governo regionale: Schifani non ha ancora formato la giunta ma tra i nomi trapelati non ci sono quelli indicati da Miccichè. Che nelle ultime settimane ha provato lo stesso ad incassare la rielezione alla presidenza dell’Ars con manovre sottobanco ma senza raggiungere i voti necessari. “Non mi sento parte della maggioranza”, ha detto dunque al primo giorno della nuova legislatura, ufficializzato la rottura in Forza Italia: “Abbiamo un presidente della regione che non rispetta quello che dice il suo partito. Non quello che dice Micciché, quello che dice Silvio Berlusconi”, ha dichiarato a Repubblica Palermo prima dell’inizio dei lavori. E dopo aver incrociato proprio Schifani: secondo indiscrezioni, durante un breve incontro nella sala della Preghiera pochi minuti prima dell’inizio della seduta d’insediamento, il governatore avrebbe provato ad offrire a Micciché la presidenza di una commissione a Palazzo Madama. Miccichè non ha ancora deciso se rimanere in Sicilia da deputato regionale oppure optare per il seggio al Senato . “Mi hanno tenuto fuori dalla maggioranza – ha sottolineato -. È ovvio che personalmente mi ritengo libero di votare, oggi e in futuro, secondo la mia coscienza e non secondo le appartenenze”.

In pratica l’ormai ex vicerè di Berlusconi si smarca nettamente dal nuovo governo di centrodestra e potrebbe dare ragione alle voci di corridoio che lo vorrebbero in transito verso altri partiti, come quello di Matteo Renzi. Sarebbe una perdita non secondaria per Forza Italia, in Sicilia ma pure a Roma.

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