Più di 28 anni. Sono passati più di 28 anni da quando Antonio Tajani ha contribuito a fondare Forza Italia. Ma solo oggi il giornalista cresciuto politicamente all’ombra di Silvio Berlusconi è riuscito nell’intento inseguito per quasi tre decenni: fare politica in Italia. “Fedele alla linea” è la formula che (incredibilmente) più gli si addice: mai una critica, almeno in pubblico, mai una manifestazione di risentimento, anche quando è stato ‘scavalcato’ nelle gerarchie di partito, mai un tradimento. Mentre membri importanti del partito andavano e venivano, “traditori” o “benvenuti” a seconda della direzione imboccata, lui è sempre rimasto lì, alla destra del Padre. Oggi, dopo 28 anni, torna dall’esilio dorato di Bruxelles, dove ha scalato le gerarchie della Commissione, prima, e del Parlamento, poi, fino a diventare presidente dell’Eurocamera. Torna da deputato eletto, ma soprattutto come nuovo capo della Farnesina. Un ribaltamento di prospettiva: non più l’attività all’estero con uno sguardo all’Italia, ma l’incarico italiano con vista fuori dai confini.

Il punto di svolta della sua carriera è proprio il 1994, l’anno della ‘discesa in campo’ di Berlusconi. Allora Tajani era uno dei responsabili della redazione romana del Giornale, ma non decise, come altri, di seguire il dimissionario direttore Indro Montanelli. Anzi, contribuì in qualche modo alle sue dimissioni fondando Forza Italia e presentandosi insieme all’ex Cav nella redazione del quotidiano per chiedere il sostegno della stampa di famiglia alle imminenti elezioni politiche, causando la scissione interna tra berlusconiani e montanelliani.

Da lì in poi, per Tajani decolla una carriera politica già iniziata nei movimenti giovanili monarchici, una posizione mai rinnegata dal politico romano di origini ciociare. Un percorso fatto di fedeltà, non sempre corrisposta, aspirazioni e delusioni. Come nel 1994, quando alle Politiche venne candidato in un collegio sicuro, in Puglia: la Regione era considerata un feudo forzista, ma l’allora portavoce di Berlusconi non metterà mai piede in Parlamento per un errore nella consegna delle firme.

Una sliding door che influenzerà i successivi 28 anni di carriera. Perché d’estate si vota per le Europee e Tajani viene eletto facilmente, prendendo così il volo per quella che diventerà di fatto una seconda casa: Bruxelles. Una casa che prova ad abbandonare due volte, con risultati disastrosi. La prima già nel 1996, quando forte delle proprie origini ciociare venne ricandidato nel collegio uninominale di Alatri per il Polo per le Libertà, venendo però sconfitto dall’avversario de L’Ulivo. La seconda nel 2001, quando da candidato del centrodestra corre per le Comunali a Roma venendo sconfitto al ballottaggio da Walter Veltroni. Nel 2004 si ripresenta alle Europee e viene rieletto. Da quel momento in poi, l’Italia smette di essere un’ossessione: inizia la sua vera carriera europea.

Commissario europeo per i Trasporti, commissario per l’Industria e l’Imprenditoria e vicepresidente della Commissione durante le due presidenze di José Manuel Barroso, vicepresidente vicario del Parlamento europeo e infine presidente dell’Eurocamera dal 2017 al 2019. A questi traguardi si aggiunge anche la scalata all’interno del Partito Popolare Europeo, la più grande famiglia politica a Bruxelles, del quale è diventato vicepresidente. Anni nei quali Tajani ha costruito strette relazioni internazionali, soprattutto negli ambienti cattolici, nella comunità ebraica europea e italiana e in quelli anticomunisti, anche grazie al fatto che parla correntemente inglese, francese e spagnolo: amico di lunga data dell’ex premier di Madrid, il Popolare Mariano Rajoy, ma anche strenuo sostenitore dell’opposizione venezuelana guidata da Juan Guaidó, oltre che dell’ex presidente cileno Sebastián Piñera.

La sua avversione al governo di Caracas di Nicolás Maduro, i cui sostenitori, ha lui stesso dichiarato, lo hanno minacciato anche di morte, è emersa nel corso di un litigio immortalato in video con Dario Vives, del Partito Socialista Unito del Venezuela. “Sei un comunista”, gli urlò durante il diverbio. “Vergognati”, rispose il venezuelano. “No, tu sei senza vergogna – chiuse Tajani – È una dittatura, mettete l’opposizione in carcere”. Una scena che lo lega indissolubilmente al capo indiscusso Silvio Berlusconi e alla sua ossessione per i “poveri comunisti”.

Coi socialisti, però, in rari casi ha stretto anche amicizia. Come con l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, che da presidente del Cile lo insignì della Gran Croce dell’Ordine di Bernardo O’Higgins, una delle più importanti onorificenze del Paese. Amicizie ne ha, e non poche, negli ambienti delle lobby cattoliche ed ebraiche in tutta Europa. Tanto che in Israele c’è un boschetto (18 alberi) che porta il suo nome. Un riconoscimento dell’impegno “per costruire ponti tra le religioni così come tra l’Unione europea e le varie confessioni” quando, come vicepresidente del Parlamento Ue, si è impegnato nel promuovere il dialogo interreligioso, una delle deleghe del suo mandato.

A ringraziarlo, tanto da intitolargli il nome di una strada, sono stati anche i 210 dipendenti della Tenneco di Gijon, in Spagna, per la mediazione svolta da commissario europeo per l’Industria e l’Imprenditoria nel negoziato con l’azienda che voleva chiudere il proprio stabilimento nelle Asturie. Così come i familiari della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, del reporter slovacco Ján Kuciak e della sua fidanzata Martina Kušnírová, uccisi per le inchieste che stavano svolgendo e per i quali Tajani ha continuato a chiedere verità e giustizia nel corso del suo mandato alla presidenza del Parlamento Ue.

Fermo oppositore dei cosiddetti populismi e sovranismi europei, pur essendo fondatore del partito che il populismo lo ha di fatto sdoganato in Italia, ha fino all’ultimo fatto un’eccezione per l’ormai ex compagno di partito europeo, il premier ungherese Viktor Orban. Quando una parte consistente del Ppe, con in testa l’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, ne chiedeva la cacciata per le leggi sempre più illiberali e antidemocratiche promulgate nel Paese, fu proprio Forza Italia, di cui Tajani era il principale rappresentante a Bruxelles, uno dei partiti che si è opposto fino all’ultimo. Da qui è nata quella che venne ribattezzata “corrente Viktor” schierata in difesa di Fidesz, fino a quando la cacciata, avvenuta con una preliminare uscita della formazione ungherese, non è stata inevitabile.

Un giustificazionismo che, tra una dichiarazione contro “il reddito di cittadinanza che finirà nelle tasche dei rom” e l’eutanasia, perché “nessuno ha il diritto di togliere o togliersi la vita”, ha messo a rischio anche il suo mandato alla presidenza del Parlamento europeo quando oggetto di un suo intervento a Radio24 fu Benito Mussolini: “Mussolini? Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro Paese, poi le bonifiche. Da un punto di vista di fatti concreti realizzati, non si può dire che non abbia realizzato nulla. Io non sono fascista, non sono mai stato fascista e non condivido il suo pensiero politico. Però se bisogna essere onesti, Mussolini ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia, l’istituto per la ricostruzione industriale. Quando uno dà un giudizio storico deve essere obiettivo, poi non condivido le leggi razziali che sono folli, la dichiarazione di guerra è stata un suicidio”. Parole che lo costrinsero a scusarsi pubblicamente.

Oggi Tajani torna in Italia e lo fa per rimanere. I rapporti internazionali costruiti in quasi tre decenni gli risulteranno preziosi, ma la linea da seguire rimarrà sempre la stessa: quella di Silvio Berlusconi. “Fedeli alla linea, anche quando non c’è. Quando l’imperatore è malato. Quando muore o è dubbioso o è perplesso. Fedeli alla linea, la linea non c’è”, cantavano i CCCP, non certo il principale riferimento musicale del nuovo ministro degli Esteri. Giovanni Lindo Ferretti, ex leader del gruppo, la sua linea l’ha cambiata radicalmente, Antonio Tajani rimane più realista del re.

Twitter: @GianniRosini

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