Il primo di settembre il Fatto rivela un altro pasticcio del governo sul fronte dei lavoratori fragili: un comma scritto male che rende licenziabili “per decreto” coloro che durante il “periodo di prova” si dovessero assentare per assistere un familiare malato non autosufficiente. L’indomani, il Ministero una circolare esplicativa che raddrizzi il tiro, ma a distanza di due settimane e con la legge cin vigore ormai da oltre un mese. Quel che arriva è solo un chiarimento infilato tra i meandri delle FAQ del sito del ministero, che non hanno però valore di legge. Ieri abbiamo inutilmente sollecitato il ministero e il capo di Gabinetto di Orlando, Stefano Scarafoni. Anche perché chi quegli uffici li frequenta, sosteneva che la bozza fosse pronta da un pezzo, ma non andasse “alla firma” per evitare una brutta figura al ministro in piena campagna elettorale.

La norma è il “decreto trasparenza” (dl 104/2022) sui contratti di lavoro che recepisce la Direttiva (UE) 2019/1152 ed è entrata in vigore lo scorso 13 agosto. La versione uscita dal ministero disciplina il “periodo di prova” ponendo il limite dei sei mesi ma all’art- 7 al comma n. 3 indica anche gli “eventi” per i quali si interrompe senza conseguenze per il lavoratore. Il testo ne cita espressamente quattro: malattia, infortunio, congedo di maternità/paternità obbligatori. Non fa invece alcun riferimento al “congedo straordinario” per assistenza alle persone con disabilità. Ne deriva che, da quando è in vigore, migliaia di cittadini che usufruiscono della legge 104 per accudire familiari siano esposti al rischio di licenziamento qualora durante i sei mesi usufruiscano dei permessi tutelati dalla legge. La notizia desta allarme nelle associazioni dei disabili come Anffas, Fish e l’associazione Luca Coscioni. Così come è scritta, dicono, la norma discrimina e penalizza la categorie di lavoratori più debole, quella che già stenta a trovare o tenersi un lavoro. Cosa che non solo la rende diversa e contraria al dettato europeo, ma addirittura contrasta con la Convenzione Onu sui diritti fondamentali delle persone disabili, legge di rango internazionale e in quanto tale gerarchicamente “superiore” a quella nazionale. Insomma, un vero pasticcio.

Prima della pubblicazione dell’articolo avevamo chiesto al Ministero di verificare la falla ma solo l’indomani dell’uscita, con il clamore che ne è seguito, è arrivata una breve nota non firmata dell’Ufficio Stampa che precisava quel che nel decreto non c’è, e cioè che “gli eventi indicati al comma 3 sono meramente esemplificativi (e non tassativi, e dunque esaustivi) di quelle situazioni di sospensione protette dal legislatore, come si evince chiaramente dalla formulazione della disposizione, coerentemente con il dettato della Direttiva”. Ma un decreto, si sa, vale per quel che c’è scritto. Per uscire dall’empasse, la nota annunciava una “circolare ministeriale in preparazione” che avrebbe fornito precisazioni in proposito. Ma sono passati altri 15 giorni e della circolare non si ha notizia.

Il 9 settembre spunta tra i meandri della Faq del ministero, in sordina, l’agognato chiarimento: “Il prolungamento del periodo di prova in caso di eventi sopravvenuti – si applica anche nelle ipotesi di assenze diverse da quelle riportate in maniera esemplificativa nella disposizione in esame”. Ma le Faq non hanno alcun valore normativo né integrativo, come ha chiarito il Consiglio di Stato. Per cui la spada di Damocle sui lavoratori resta. Perché non è mai uscita la circolare e solo quel post-it che galleggia nel mare del web senza valore di legge? In assenza di risposte, resta il sospetto che il ministero abbia preferito quella via sotterranea per non ammettere platealmente l’errore che poteva nuocere alla campagna elettorale del ministro. Una correzione al decreto infatti avrebbe fugato ogni dubbio ma sarebbe suonata come atto riparatorio, come l’ammissione dell’errore, anche se commesso in buona fede. Comunque sia andata il risultato è questo: in caso di licenziamento, il lavoratore dovrà convincere il giudice che il legislatore ha scritto una cosa, ma intendeva il contrario.

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