Non ci sono solo i prezzi del gas e dell’energia elettrica a mettere in ginocchio interi settori produttivi. Per le imprese energivore il problema è anche quello di riuscire a rinnovare i contratti per la fornitura di energia. Succede, infatti, che ad alcune vengano richiesti grossi anticipi o fideiussioni a garanzia del pagamento delle bollette future. È il caso di Olympia, azienda ceramica con 40 dipendenti basata a Corchiano, in provincia di Viterbo. Nonostante l’impresa sia cliente di Eni da quarant’anni – anche se ora a inviare la bolletta è la sua controllata Plenitude – pochi giorni fa il colosso energetico l’ha messa davanti a un aut aut.

“Ci hanno detto che l’unico modo per continuare a fornirci il gas era di versare un anticipo di 300mila euro oppure aprire una fideiussione bancaria da mezzo milione, e questo senza sapere i consumi reali. Se non avessimo acconsentito alla richiesta, ci avrebbero chiuso i rubinetti”, spiega a ilfattoquotidiano.it Giampiero Patrizi, export manager di Olympia e presidente di Federlazio Ceramiche. Plenitude, interpellata da ilfattoquotidiano.it, ha replicato che “in generale le condizioni economiche delle offerte di fornitura considerano sia fattori di mercato, tra cui la volatilità e il livello dei prezzi, sia una componente di copertura del rischio creditizio. Ogni cliente, naturalmente, è poi libero di valutare le diverse offerte del mercato”. Infatti l’azienda ha deciso di passare a Sorgenia, che, invece, non ha posto delle condizioni così stringenti. Tuttavia, siccome i contratti sono generalmente a prezzi variabili, non ci saranno risparmi sul costo del gas, i cui aumenti degli ultimi mesi hanno messo a dura prova Olympia e tutto il distretto ceramico di Civita Castellana, il più grande del Centro Italia.

In un anno, infatti, la bolletta del gas dell’azienda è aumentata del 439%, passando dai 20.424 euro di luglio 2021 ai 110.185 euro del luglio scorso. “E questo avendo consumato il 24% del gas in meno. Se avessimo consumato come l’anno scorso l’incremento sarebbe stato precisamente del 600%”, continua Patrizi. “La situazione è molto critica. L’incidenza media del costo del gas su un pezzo è dieci volte di più. Purtroppo ci sarà sicuramente una riduzione della produzione: produciamo soltanto il materiale che dobbiamo spedire perché, a questi prezzi, non è possibile fare magazzino”. Con il rischio di dover ricorrere alla cassa integrazione che si fa sempre più concreto. C’è poi il tema della concorrenza, anche internazionale, che impedisce di scaricare gli aumenti sul prodotto finito.

“Siccome dobbiamo accontentare i nostri clienti, stiamo vendendo anche articoli con un costo di produzione superiore ai prezzi di vendita. Anche perché, sia noi come Olympia sia il distretto di Civita Castellana, esportiamo il 60% della nostra produzione, e quindi ci confrontiamo con competitor internazionali, come i tedeschi, i turchi e gli spagnoli, che da maggio possono contare su un tetto al prezzo del gas. Tutto questo rischia di mandarci fuori mercato”. In uno scenario simile, l’unica soluzione sembra essere quella di imporre un limite al prezzo del gas. “È da un anno che denunciamo che è troppo alto a causa della speculazione, ma al governo se ne sono accorti soltanto adesso. Quello che bisogna fare è mettere un tetto al prezzo del gas”.

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