Sono stati eletti per rappresentare l’Italia al Parlamento europeo, incarico per cui percepiscono una retribuzione netta di 7.300 euro al mese più le indennità di viaggio, di soggiorno, di spese mediche e di fine mandato. Ma a molti la poltrona sta stretta: quasi un quinto di loto vorrebbe cambiarla con un più comodo scranno romano. Sono 13 su 76, infatti, gli eurodeputati italiani in carica candidati alle elezioni del prossimo 25 settembre, nonostante abbiano di fronte ancora quasi due anni di mandato a Bruxelles (la scadenza è a maggio 2024). L’unica delegazione che resterà intatta in ogni caso è quella del Movimento 5 stelle, che non ha inserito in lista nessuno dei propri rappresentanti. Tutti gli altri partiti, invece, ne schierano uno o di più: e tra loro ci sono nomi di primissimo piano, a partire da Silvio Berlusconi, il più assenteista di tutta l’Eurocamera. Ma pure Antonio Tajani, Eleonora Evi, Raffaele Fitto, Simona Bonafé e Caterina Chinnici (aspirante governatrice della Sicilia) e soprattutto Carlo Calenda: il segretario di Azione – anche se può sfuggire – è parlamentare europeo dal maggio 2019, quando fu eletto con record di preferenze nella lista del Pd, salvo mollare il partito dopo due mesi e in seguito (nel 2021) cambiare anche famiglia politica comunitaria, traslocando dal gruppo dei Socialisti&Democratici ai macroniani di Renew Europe. Se però a parole Calenda è un fervente crociato dell’Europa e dell’integrazione europea, di fatto ha dedicato tutte le sue energie alla politica e alle candidature nazionali (prima a sindaco di Roma e adesso a senatore) trascurando in allegria l’incarico per cui viene stipendiato.

A tacer d’altro basterebbe guardare Twitter: sul social dove l’ex ministro trascorre gran parte delle sue giornate, i riferimenti al lavoro da europarlamentare sono praticamente assenti. E il motivo si capisce verificando la sua attività istituzionale. Va detto subito che il metro di giudizio non può essere – come per Camera e Senato – la presenza alle votazioni: da marzo 2020 a marzo 2022, infatti, a causa del Covid è stato in vigore un sistema da remoto che ha permesso ai deputati (o ai loro assistenti) di votare direttamente dalla poltrona di casa, senza scomodarsi con aerei e trasferte. Una rivoluzione che ha drogato le statistiche: basta pensare che persino Berlusconi, che a Bruxelles è comparso una sola volta in tutta la legislatura, può vantare un rispettabile 58,9% di partecipazione. Così, durante la campagna per le comunali di Roma, Calenda poteva farsi bello dicendo di avere “oltre il 90% di presenze ai voti“, nascondendo però che questa percentuale lo piazzava (al 28 settembre 2021, ultimo dato reperibile) al 71° posto su 75 eletti italiani e al 622° sui 705 totali. Tramontato lo “smart working”, il bluff è venuto a galla: il segretario di Azione non si è presentato nemmeno al decisivo voto sulla tassonomia verde del 6 luglio scorso, nonostante fiumi di parole e tweet sulla necessità di includervi anche gli investimenti sull’energia nucleare. E si è fatto bacchettare anche da un suo compagno di gruppo, l’eurodeputato di Italia viva Nicola Danti: “La politica va fatta nei luoghi dove si decide e si incide, non su Twitter. Altrimenti si fa il gioco dei populisti”, gli scriveva.

Per avere un quadro realistico dell’impegno è utile invece guardare la voce “attività parlamentari principali” sulla sua pagina da deputato. Ne risulta che in 170 sedute plenarie del Parlamento europeo in questa legislatura, Calenda è intervenuto in Aula – oralmente o in forma scritta – appena sei volte. L’ultima? Il 18 maggio 2021, un anno e tre mesi fa, prima di lanciare la propria corsa a sindaco di Roma. L’unica altra “attività principale” del capo della lista di centro è una relazione a una proposta di risoluzione, cioè un atto di mero indirizzo nei confronti degli Stati membri, senza valore normativo (come invece hanno i regolamenti e le direttive). Per fare alcuni paragoni, Brando Benifei – il capodelegazione del Pd – ha all’attivo 92 interventi in Aula, una relazione su una direttiva e una su un regolamento, altre sei relazioni da “relatore ombra” (una sorta di relatore di partito) e dieci interrogazioni orali. Antonio Tajani – vicepresidente del Partito popolare europeo e già presidente dell’Eurocamera – ha 59 interventi in Aula, 13 pareri in quanto relatore, 42 proposte di risoluzione e due interrogazioni orali. Carlo Fidanza (capodelegazione di FdI) ha 46 interventi in Aula, otto relazioni e 11 pareri da relatore ombra, 108 proposte di risoluzione e tre interrogazioni orali. Tiziana Beghin (capodelegazione del M5s) 34 interventi in Aula, dieci proposte di risoluzione e sei interrogazioni orali.

Insomma, finora il leader di Azione non ha lasciato quasi traccia della sua presenza all’Eurocamera, come ricordano gli eletti del Movimento 5 stelle – Tiziana Beghin, Fabio Massimo Castaldo, Laura Ferrara, Mario Furore e Sabrina Pignedoli – in un comunicato in cui rivendicano di essere stati gli unici a non tentare di usare Bruxelles come un autobus per Roma: “I nostri eletti restano fedeli al mandato elettorale ricevuto nel maggio 2019 e continueranno il loro lavoro al Parlamento europeo fino alla fine della legislatura“, scrivono. “Purtroppo, invece, per gli altri partiti è proprio il caso di dire: “prendi i voti e scappa”. Fa scalpore in particolare il caso Calenda, che ha trascorso più tempo nelle sue varie campagne elettorali che presente a lavorare per l’Italia a Bruxelles e Strasburgo. A questo “fuggi fuggi” vergognoso e irrispettoso degli impegni presi durante la campagna elettorale europea, il Movimento 5 stelle contrappone coerenza e risultati concreti. Grazie a Giuseppe Conte abbiamo ottenuto 209 miliardi di fondi europei per il nostro Paese, molti dei quali a fondo perduto, un risultato storico che si può raggiungere solo se lavori sodo, sei credibile e autorevole, tutte qualità che mancano alla classe politica. Il prossimo 25 settembre i cittadini si ricorderanno chi è dalla loro parte”, concludono.

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