Non si arresta la corsa dei contagi del virus West Nile in Veneto, la malattia infettiva trasmessa dalla puntura dalle zanzare. Nella regione stanno circolando in particolare due ceppi, il WNV-1 e il WNV-2 e ieri, 2 agosto, sono stati registrati altri quattro ricoveri nell’Azienda ospedaliera universitaria di Padova, a questi poi si aggiungono quelli ricoverati negli ospedali dell’Usl 6. In tutto i casi accertati tra Padova e provincia sono 49 e oggi, invece, un nuovo caso è stato registrato dai sanitari del Servizio Igiene e Sanità Pubblica dell’Ulss 3 Serenissima, a Venezia: si tratta di un uomo di 55 anni, sintomatico, ma che non necessita di sorveglianza ospedaliera.

Nel mirino del virus ci sono soprattutto gli anziani, ma qualche eccezione si è riscontrata anche tra persone che hanno tra i 30 e i 40 anni. Ieri, 2 agosto, è stata registrata la prima vittima a Mira, nel veneziano. Uno studio dell’Università di Padova e dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie ha confermato che in Veneto sono 2 i ceppi che circolano. Non esistono vaccini: l’unica difesa contro la West Nile è non farsi pungere dalle zanzare infette. Sono fondamentali quindi le disinfestazioni nei luoghi pubblici al fine di uccidere insetti adulti e larve e proprio per questo sono sempre più numerose le amministrazioni che stanno vagliando l’obbligo di effettuare trattamenti preventivi in caso di manifestazioni pubbliche serali. Dei 42 casi ufficiali finora ufficialmente confermati e riportati dall’Iss, 21 si sono manifestati nella forma neuro-invasiva (7 Emilia-Romagna, 12 Veneto, 2 Piemonte), 12 casi sono stati identificati in donatori di sangue (3 Lombardia, 6 Veneto, 3 Emilia-Romagna) e 9 casi hanno mostrato sintomi da febbre (1 Lombardia, 7 Veneto, 1 Emilia-Romagna). Per il momento sono 5 i decessi tra i casi confermati (3 in Veneto, 1 in Piemonte e 1 in Emilia Romagna).

Il primo caso di West Nile è stato isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, all’interno del distretto West Nile da cui il virus prende il nome. La malattia è diffusa soprattutto in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America. In Italia il primo focolaio risale all’estate del 1998, quando sono stati accertati alcuni casi tra i cavalli nell’area di Padule di Fucecchio, in Toscana. A seguito di tale evento, il ministero della Salute ha attivato dal 2002 il Piano nazionale di sorveglianza, al fine di monitorare la circolazione del virus su tutto il territorio nazionale. I principali serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (in particolare le Culex), le cui punture sono il mezzo principale di trasmissione all’uomo. La febbre, infatti, non si trasmette tramite il contatto con le persone infette, ma può coinvolgere anche altri mammiferi (soprattutto equini, ma anche cani, gatti e conigli).

L’incubazione della malattia dal momento della puntura varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario. La maggior parte delle persone infette non presenta sintomi e fra i pochi sintomatici, il 20% circa presenta sintomi leggeri come febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, sfoghi cutanei. I sintomi possono durare pochi giorni e in rari casi qualche settimana, ma soprattutto possono variare molto in base all’età: sono infatti più lievi nei giovani in salute. Negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave e può comprendere febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi e al coma. Alcuni effetti neurologici inoltre possono essere permanenti. Solo nei casi più problematici (circa 1 su mille) il virus può causare un’encefalite letale. La diagnosi viene prevalentemente effettuata attraverso test su siero e, dove indicato, su fluido cerebrospinale per la ricerca di anticorpi del tipo IgM.

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