Morire di overdose in carcere. È accaduto a un 27enne, che sarebbe riuscito a procurarsi la sostanza stupefacente e a condividerla con altri reclusi di Padova. Ma è stato colto da malore e quando lo hanno soccorso era troppo tardi. I detenuti delle altre celle avevano pensato a un ritardo nell’intervento da parte degli agenti penitenziari, al punto da inscenare una protesta. Adesso si sospetta, invece, che l’allarme sia stato dato con un ritardo di un’ora ma da parte dei suoi compagni. La Procura di Padova sta indagando sul decesso del tunisino Mohammed El Habchi e ha acquisito i filmati delle telecamere relativi a ciò che è accaduto il 15 giugno scorso.

Dalle registrazioni emergerebbe che il ritardo nell’allarme di almeno un’ora, fatale all’uomo, non è stato causato dagli agenti, ma dai detenuti. Per questo il sostituto procuratore Sergio Dini, titolare dell’inchiesta, vuole verificare se ci siano state responsabilità da parte delle persone che erano assieme al 27enne. Per questo potrebbe prefigurarsi un’ipotesi di omissione di soccorso. L’autopsia effettuata sul corpo del tunisino ha dimostrato che si è trattato di overdose, anche se bisogna attendere i risultati tossicologici per accertare di quale tipo di droga si tratti. Avrebbe assunto la droga non nella propria cella, ma in quella di altri detenuti, quasi fosse stato organizzato una specie di festino.

La ripresa mostra, infatti, due detenuti che trasportano il corpo di Mohammed fuori da una cella, fino a quella da lui occupata, dove lo abbandonano sul letto. L’allarme viene dato un’ora dopo. È troppo tardi. Il decesso avviene nel tragitto verso l’infermeria. I detenuti avrebbero cercato di nascondere il fatto che la droga era stata assunta in un’altra cella, per non dover chiarire i molti aspetti inquietanti della vicenda. Da dove hanno ricevuto la droga? Chi l’ha introdotta in carcere? È una consuetudine o si è trattato di un episodio isolato? Il tunisino era stato arrestato a dicembre, dopo un furto in un grande magazzino che lo aveva costretto a un aggravio di pena. Era infatti agli arresti domiciliari, ma aveva violato la misura cautelare attenuata.

Il carcere di Padova è stato negli ultimi anni al centro di numerose inchieste proprio per la facilità con cui la droga veniva portata dall’esterno. In alcuni casi è stato represso anche un giro che consentiva di far arrivare cellulari ai detenuti. L’indagine più recente ha riguardato la droga liquida, che arrivava in pacchi destinati ad alcuni reclusi, provenienti dalla Spagna o dalla Romania. All’interno c’erano dei piccoli flaconi con droga liquida, camuffati da “Profumo d’oriente, acqua aromatica con tè verde”. In qualche caso fogli di carta formato A4 erano stati nebulizzati con sostanza stupefacente, poi tagliati in striscioline e venduti al prezzo di 30 euro.

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