“Presenti”, “assenti” o “in missione”. Eccezion fatta per Abruzzo e Toscana, non esiste l’ipotesi che i consiglieri regionali siano assenti per altri motivi. Così, nel calderone degli assenteisti che all’esercizio della rappresentanza politica preferiscono la partecipazione a eventi elettorali, coltivare i propri interessi privati o andare al mare, finisce anche chi si assenta dall’aula per godere di diritti essenziali da tutelare come quello alla maternità. È il caso di Selena Candia, consigliera della sinistra ambientalista in Liguria eletta con la lista Sansa: “Da qualche settimana risulto ‘assente’ in consiglio regionale – racconta a ilfattoquotidiano.it – Questo perché, nelle istituzioni, non si vogliono chiamare le cose con il proprio nome. Perché alcune parole fanno paura: una di queste è maternità”.

Lo sfogo della 35enne consigliera ligure parte dalla sua esperienza diretta: “Ma non è una questione personale, riguarda il velo di ipocrisia istituzionale che copre il totale disinteresse verso quella volontà di aumentare la presenza delle donne in politica che, alla prova dei fatti, resta un vuoto esercizio retorico”. La consigliera, che è diventata madre per la seconda volta a metà giugno, solo pochi mesi fa ha scoperto che il congedo di maternità non sia contemplato dal regolamento del consiglio: “A febbraio mi sono mossa per provare a cambiare le cose, sarebbe sufficiente replicare quanto già previsto in Toscana e Abruzzo, che con una modifica normativa hanno inserito nel regolamento la possibilità di indicare che le assenze sono giustificate dall’esercizio del proprio diritto alla maternità”.

Eppure, mese dopo mese, “mentre tutti si affannavano a cercare donne da candidare alle comunali, le priorità sono sempre state altre”. L’accusa della consigliera non sembra riguardare tanto la maggioranza di Giovanni Toti, che avversa quotidianamente sul fronte delle politiche portate avanti in Regione, quanto la sua stessa parte politica, quel centrosinistra che avrebbe per primo alzato il muro di gomma delle obiezioni conservatrici: “È inopportuno, ci sono le elezioni comunali, sarebbe una legge ad personam, un privilegio, la gente non capirebbe, non potevi pensarci prima di fare un figlio? Ma allora chi ha una malattia grave?”.

Riguardo all’ultima osservazione benaltrista, osserva Candia, si poteva cogliere l’occasione per andare a inserire anche i “motivi sanitari” alla maternità, dal momento che non si comprende come un diritto debba essere contrapposto a un altro. E invece: “Avrei voluto condividere riflessioni e proposte con le altre forze politiche prima di partorire – spiega la consigliera – ma negli scorsi mesi, in un consiglio composto da 24 uomini su 30, con un centrosinistra di soli uomini, non è mai stato trovato il tempo per farlo”. Alla fine obtorto collo Candia opterà per tornare anzitempo in consiglio regionale, costretta a rinunciare allo spazio che sarebbe garantito alla maternità, come da sempre fanno tante lavoratrici strette dal ricatto della compatibilità tra vita e lavoro, “con l’aggravante di trovarsi in quelle sedi istituzionali che dovrebbero e potrebbero dare l’esempio”.

Certo, uno può comunicare informalmente le ragioni della sua assenza: “Ma resterebbe nei registri la ‘macchia’ di una percentuale di assenteismo da fannulloni, per questo motivo ho depositato in consiglio la richiesta di risolvere questo buco normativo, per chi in futuro si ritroverà in questa situazione. Non riguarda me, riguarda in generale il diritto di astenersi dal lavoro quando si ha un figlio, e al tempo stesso anche il diritto/dovere di poter prender parte alle attività del consiglio se necessario”. Sì perché nella proposta depositata in consiglio, Candia oltre a proporre il congedo di maternità e paternità ai consiglieri propone anche di inserire la possibilità di partecipare al consiglio da remoto, come già è possibile fare nel Comune di Torino proprio per le consigliere incinte o in maternità.

L’obiezione populista potrebbe essere facilmente riconducibile al mero interesse di non perdere parte del proprio compenso, visto che ovviamente con il riconoscimento della maternità salterebbero le decurtazioni legate alle assenze, è la stessa consigliera a mettere le mani avanti su questo punto: “È una questione di principio, non economica: se vogliamo le donne in politica devono essere in condizione di vivere pienamente la propria maternità se scelgono di avere figli; e grazie alla tecnologia, se necessario, devono poter partecipare alle attività. Si può anche studiare un modo per donare le cifre non più decurtate ad associazioni che si occupano di questi diritti”. Per completezza va detto che il tema non è nuovo ed è già stato affrontato a livello parlamentare nel 2011 su iniziativa delle allora deputate Giulia Bongiorno e Federica Mogherini. Alle deputate vengono garantiti i cinque mesi di assenza per maternità e sono equiparati a quelle dei deputati in missione (senza decurtazioni della diaria).

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