Le idee sono chiare. “Per ricostruire il Paese serviranno 750 miliardi di dollari, una somma che useremo per finanziare 850 progetti che ridaranno un volto vivibile al Paese”, ha dichiarato il premier ucraino Denys Shmyhal alla Ukraine Recovery Conference 2022, una due giorni tenutasi a Lugano, in Svizzera, lo scorso 4-5 luglio. Nelle intenzioni di Kyiv la maggior parte dei finanziamenti dovranno avere una sola provenienza, “cioè dalla Federazione russa e dai suoi oligarchi, i cui beni in Europa sono stimati tra i 300 e i 500 miliardi di dollari”, ha dichiarato il premier ucraino aggiungendo poi che la parte restante proverrà “dai prestiti agevolati delle organizzazioni finanziarie internazionali e dei Paesi amici, dagli investimenti del settore privato e dal bilancio interno ucraini”. Un progetto ambizioso che però non sembra semplice da realizzare, visti gli ostacoli politici e normativi.

La difficoltà a far pagare Mosca – I propositi ucraini hanno infatti trovato ostacoli sin da subito. “Certo, possiamo violare una legge fondamentale come il diritto di proprietà. Ma dobbiamo creare la base giuridica”, ha dichiarato il presidente della Confederazione elvetica Ignazio Cassis in una conferenza stampa congiunta proprio con Shmyhal. Se la contrarietà di Berna ad agire con decisione sui beni di provenienza russa è nota, si stima che le ricchezze degli oligarchi nella Confederazione arrivino a 190 miliardi di euro, non altrettanto scontate sono invece le perplessità provenienti da Europa e Stati Uniti. Janet Yellen segretaria del Tesoro degli Stati Uniti, ha affermato che “l’accaparramento delle riserve di Mosca non è qualcosa da considerare alla leggera” e lo stesso ha fatto anche Simon Hinrichsen, professore presso la London School of Economics, in un’intervista al Financial Times. “Sarebbe essenzialmente un’azione che elimina il sistema di economia politica internazionale che abbiamo istituito nei decenni”. Un vero e proprio Rubicone politico il cui passaggio causerebbe effetti imprevedibili. Come racconta Mark Lattimer, direttore della ONG Ceasefire Centre, in un articolo del Guardian “l’obbligo legale di pagare le riparazioni ricade maggiormente sulla Russia, ma evidentemente non pagherà di propria iniziativa. Inoltre, né la Corte internazionale di giustizia, la Corte penale internazionale o la Corte europea dei diritti umani sono in grado di concedere riparazioni della portata richieste dal conflitto in Ucraina”.

I casi storici – Per questo rischia di essere vana la conferenza in programma il prossimo 14 luglio a L’Aja, nei Paesi Bassi, tra Unione europea e Corte internazionale di Giustizia a proposito dei crimini russi in Ucraina. Oltre agli ostacoli giuridici manca proprio una struttura in grado di poter trasferire il valore dei beni sequestrati ai russi dai Paesi occidentali all’Ucraina, non dimenticando che in Europa ogni Paese ha le sue regole in materia di beni sequestrati, possibili spesso solo in occasione di un’azione penale. Per questo l’Unione è già al lavoro da maggio su un pacchetto di norme che renderebbe l’evasione delle sanzioni un reato europeo, fornendo così ai diversi Stati Ue la base giuridica di cui hanno bisogno per confiscare i beni in questione. Un processo che però rischia di essere lungo: per questo si guarda a casi simili, che hanno funzionato con alterne fortune. Quello certamente più di successo è la Commissione di compensazione delle Nazioni Unite, istituita nel 1991 per far sì che l’Iraq di Saddam Hussein pagasse per i danni causati al Kuwait durante la Prima Guerra del Golfo. Soltanto a inizio 2022 i 52 miliardi di dollari che Baghdad doveva al piccolo emirato sono stati pagati, grazie soprattutto alle vendite del petrolio. Non è andata bene invece alle vittime di Hissène Habré, l’ex presidente del Ciad, condannato nel 2017 da un tribunale speciale per i crimini di guerra a pagare più di 145 milioni di dollari ma che è morto nel 2021 senza sganciare un solo centesimo.

Come risolvere – C’è perciò un modo perché la Russia paghi per i danni causati in Ucraina? Sequestrare i beni degli oligarchi potrebbe essere un procedimento lungo e non privo di ostacoli, così come quello delle ricchezze della Banca centrale russa, che nel Continente europeo detiene circa 296 miliardi di euro e il cui sequestro creerebbe un precedente. Potrebbe avere più fortuna il tentativo ucraino di imputare alla Russia i danni ambientali causati dal suo attacco. A giugno il sito Politico Europe ha raccontato come la task force di 100 persone creata da Kiev stia raccogliendo le prove dei crimini ambientali di Mosca che, secondo le prime stime, varrebbero circa 6,6 miliardi di euro, ma che non sono facilmente imputabili. “Per essere etichettato come reato, il danno ambientale deve essere grave, diffuso, a lungo termine e intenzionale, il che è veramente difficile da provare nei tribunali internazionali”, ha dichiarato Anna Ackermann, co-fondatrice dell’ONG Ecoaction Ukraine. Un rebus per il momento ancora senza soluzione.

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