Yves è partito per tornare al suo paese di origine dopo 37 anni. Si tratta del numero esatto di anni che ha passato in carcere nel Togo, Paese confinato dall’Atlantico, oceano privilegiato per la tratta degli schiavi. La schiavitù reale e in piena terraferma l’ha vissuta in parte nel famigerato carcere di Kaza ora chiuso, tra lavori forzati, sevizie e minacce. Yves trafficava avorio con l’Europa e, assieme a suo fratello, viaggiavano spesso ad Amburgo, in Germania, onde perfezionare il lauto commercio con blandi controlli, in quei tempi passati. Una soffiata e lui e suo fratello vennero arrestati all’aeroporto di Lomé, capitale del Togo, mentre arrivavano, appunto, dalla Costa d’Avorio. Dal giorno della reclusione fino alla liberazione sono passati 37 anni e Yves non è mai passato da un tribunale per il processo. Dal Presidente padre al presidente figlio, l’attuale Foure Gnassimbé, è passata anche la visita del papa Giovanni Paolo II per il giubileo, a cui l’allora presidente aveva promesso una grazia presidenziale per i detenuti. La promessa non è stata mantenuta e, anzi, persino il fratello maggiore dell’attuale presidente si trova in carcere con l’accusa di tentativo di colpo di stato. La repressione seguita alle presidenziali dell’epoca ha fatto centinaia di morti.

Yves è di origine sudanese. Il suo paese era ancora uno quando lo ha forzatamente lasciato. Torna alla sua città di nascita, Juba, ormai capitale del nuovo stato chiamato appunto Sud Sudan. I giacimenti di petrolio del nuovo Paese, riconosciuto come indipendente nel 2011, hanno rappresentato la ben conosciuta ‘maledizione’ delle risorse. Il Sud Sudan è passato di guerra in guerra e Yves farà presumibilmente fatica a riconoscere la cittadina diventata nel frattempo capitale del nuovo stato. Torna con un un paio di occhiali usati, la bomboletta spray per l’asma e una scatola di pastiglie per controllare la pressione. Porta, in una delle due borse con le quali ha viaggiato dal Togo, un paio di pantaloni e la camicia di suo fratello Charles morto in carcere di malattia, per la famiglia dello scomparso. Lui stesso indossa camicia e pantaloni di un prete incontrato nel Burkina Faso mentre stava transitando e mendicando cibo e soldi per continuare il viaggio a ritroso. Custodisce, tra il foglio che conferma lo smarrimento del passaporto rubato e l’ultima prescrizione medica, un santino di don Bosco, offertogli da un salesiano prima di lasciare per sempre la capitale del Togo.

Yves dice che in carcere gli agenti commerciavano droga coi detenuti in cambio dei soldi che le famiglie passavano ai loro cari. Nel frattempo passavano anche i presidenti che promettevano al papa per il giubileo del 2000 e agli organismi internazionali un migliore trattamento per i detenuti e magari un’amnistia. Dal 1985 – data dell’arresto – e in tutti questi anni, Yves non è mai stato giudicato, il processo verbale del suo percorso giudiziario è sparito assieme ai soldi che lui e suo fratello avevano con sé. Il primo Yves, nato nel 1959 a Juba, era commerciante d’avorio e l’altro Yves, che torna al Paese dopo 37 anni di carcere, è un commerciante di anni che ancora gli rimangono per rivedere la moglie e i figli di cui non sa più nulla. Dice che ricorda bene il colore della casa, era color avorio.

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