In Tunisia il braccio di ferro tra l’Ugtt, il più grande sindacato del paese, e il presidente Kais Saied continua. Giovedì 16 giugno l’intero Paese nordafricano è rimasto paralizzato da uno sciopero generale del settore pubblico, che ha interessato 159 amministrazioni e aziende pubbliche e coinvolto circa tre milioni di lavoratori. Voli annullati, mezzi di trasporto bloccati, poste, farmacie e università chiuse. Il segretario generale dell’Ugtt, Noureddine Tabboubi, ha comunicato una partecipazione pari al 96% dell’intera forza lavoro pubblica, sponsorizzando il successo della manifestazione. “Non avevamo altra scelta che lo sciopero. Il presidente non ascolta nessuno”, ha spiegato Mongi Merzgui, dirigente del sindacato, al canale panarabo Al Jazeera. Intanto anche i magistrati continuano il loro sciopero, iniziato lo scorso 6 giugno, in protesta contro il decreto con il quale Saied aveva rimosso dall’incarico 57 giudici accusati di corruzione.

Il settore pubblico protesta soprattutto contro la decisione del capo dello Stato di congelare i salari e tagliare i sussidi come parte dell’accordo del governo per garantire un prestito di quattro miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale. Tuttavia, la manifestazione si è inserita anche all’interno di un contesto politico ben definito. L’indizione dello sciopero arriva infatti a ridosso del rifiuto da parte dello stesso sindacato di partecipare al cosiddetto “Dialogo nazionale”, un forum consultivo aperto dal presidente Saied per la discussione sulla prossima Costituzione, e a cui l’Ugtt ha dato forfait perché le forze politiche più importanti del Paese non erano state invitate. La sigla sindacale ha affermato infatti che il processo in realtà mirava a far passare “conclusioni decise unilateralmente in anticipo” dal governo. In un discorso pronunciato davanti alla sede del sindacato a Tunisi in occasione dello sciopero generale, il segretario dell’Ugtt Tabboubi ha spiegato che il dialogo nazionale lanciato dal presidente Saied “non rappresenta una via d’uscita né una soluzione per il Paese”.

Saied, nel tentativo annunciato di creare una “nuova Repubblica“, negli ultimi mesi ha accentrato su di sé tutto il potere licenziando il governo e sospendendo il Parlamento il 25 luglio dell’anno scorso, prima di sciogliere definitivamente la Camera lo scorso marzo, rinominare il Consiglio superiore della magistratura e rimuovere i giudici. E mentre il presidente monopolizza il potere, le intimidazioni e le pressioni da parte del governo verso oppositori e dissidenti sono ormai all’ordine del giorno. Nemmeno il sindacato più potente del Paese ne è immune. Secondo la Reuters, infatti, lo stesso leader dell’Ugtt Tabboubi ha dichiarato di essere stato “preso di mira” dalle autorità dopo essersi rifiutato di partecipare ai colloqui sulla nuova Costituzione. Il sindacalista non ha voluto fornire dettagli, ma fonti vicine all’organizzazione hanno confermato i timori che il presidente avrebbe usato la magistratura per prendere di mira il sindacato. Infine, lo scorso 11 giugno, la polizia tunisina ha arrestato il giornalista Salah Attia per aver dichiarato ad Al Jazeera che Kais Saied aveva chiesto all’esercito di chiudere il quartier generale del sindacato e di mettere i suoi leader agli arresti domiciliari.

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