Dice il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che è più facile tenere una città come Severodonetsk piuttosto che riprenderla una volta che Kiev lancerà la sua “controffensiva estiva”. La frase sembra così ovvia nella sua semplicità che nessuno si è posto il problema: ma i Russi, una volta occupato un territorio, come fanno a tenerlo? In effetti, una cosa è conquistare uno spazio, altra è riuscire a imporre quello che è il compito basilare di uno Stato, cioè il monopolio incontrastato della forza.

Il fatto è che l’occupazione ha un costo in termini di mezzi, di personale e, in definitiva, di fondi molto oneroso. Insomma, non è che si occupano e si tengono intere regioni solo per il fatto di aver piantato delle bandiere qua e là. Nel maggio 1945, al momento della resa della Germania, l’esercito americano aveva più di 1,6 milioni di uomini entro i confini del nemico sconfitto: avrebbe voluto ritirarli ma da un giorno all’altro dovette trasformarle in truppe di occupazione perché non poteva certo riarmare i Tedeschi poche settimane dopo la caduta di Hitler. In parole povere, dovettero sparpagliarsi su tutto il territorio tedesco di competenza degli Americani e prendere il controllo di ogni strada, ponte, check-point, edificio governativo, fabbrica, banca anche apparentemente di poca importanza. Fu così dispiegata una forza di occupazione di circa 400.000 truppe -da moltiplicare nel giro di un anno per due o per tre per via della necessità di dare dei turni di riposo- nella zona americana per i primi 18 mesi, l’equivalente di un soldato americano ogni 40 residenti tedeschi. Lo stesso rapporto, cioè 1 a 40, fu applicato nel 1999 al momento dell’occupazione del Kosovo da parte delle forze della NATO. Una società americana negli anni della seconda guerra del Golfo si si fece carico di uno studio, condotto dall’analista militare James Quinlivan, che concluse che il rapporto minimo indispensabile per tenere in sicurezza un territorio occupato, senza che sia in corso un’insurrezione attiva, è di 1 a 50. Proprio nella guerra – e soprattutto nella successiva occupazione- in Iraq non furono rispettati gli standard storici e operativi che richiedevano una grande forza di occupazione: sia il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld che il suo vice, Paul Wolfowitz, nomi che ancora oggi ci fanno venire gli incubi, si indispettirono quando l’allora capo di stato maggiore dell’esercito Eric Shinseki disse al Congresso che una forza iniziale di diverse centinaia di migliaia sarebbe stata necessaria nell’Iraq del dopoguerra. E tutti sappiamo come è andata a finire…

Che cosa significa questo, applicato alla situazione ucraina? Per capirlo, partiamo dall’oblast di Kherson, un’area dove l’occupazione russa è stata precoce ma da dove all’incirca la metà della popolazione è fuggita dall’inizio dell’amministrazione civile-militare russa lo scorso 2 marzo. Prima della guerra circa 650.000 persone vivevano in aree urbane, quasi 400.000 nelle campagne. Ebbene, contando solo 300.000 residenti attualmente presenti nei cinque centri con più di 50.000 abitanti prima della guerra (di cui uno solo allora con 330.000, la stessa Kherson, e il resto costituto da cittadine con meno abitanti di Lugano), per garantire l’occupazione Mosca dovrebbe schierare fra 12.000 e 15.000 soldati, contando due turni (lunghissimi) di sei mesi e non considerando la campagna. Ma l’oblast di Kherson è il sesto meno popoloso dell’Ucraina. Prendiamo quello di Kharkiv, dove Putin un mese fa ha mollato la presa di fronte a una piccola controffensiva dei riservisti ucraini: ipotizzando che solo un terzo dei 2,7 milioni di residenti presenti nel 2021 resti in loco a seguito di un’occupazione russa, possiamo ragionevolmente affermare che per tenerlo servano da 36.000 a 45.000 truppe l’anno.

Proviamo ad estendere il discorso all’insieme dei territori ucraini al momento occupati e a quelli che Putin vorrebbe strappare a Kiev: insomma, l’attuale e l’ideale nella mente del Cremlino. Nel primo caso, parliamo dell’oblast di Kherson, di due terzi dell’oblast di Zaporizia, di quasi gli interi oblast di Luhansk e Donetsk. Nel secondo caso, dobbiamo aggiungere il capoluogo dell’oblast di Zaporizia, gli oblast di Mykolayiv e Odessa a sud, l’oblast di Dnipropetrovsk nel centro e quello di Kharkiv a est. In tutto, parliamo di una superficie grande quanto e più dell’Italia… Partiamo dall’ipotesi, abbastanza realistica, che la metà della popolazione del 2021 si trovi sottoposta all’occupazione russa. Ebbene, i numeri sono i seguenti: nel primo scenario, quello attuale, per tenere in sicurezza all’incirca quattro milioni di persone, Mosca dovrebbe schierare fra 160.000 e 200.000 truppe l’anno, che -per tenere più di 7,5 milioni di residenti- diventerebbero da un minimo di 300.000 a un massimo di 375.000 l’anno. Per capirsi, parliamo -nei due scenari- di rispettivamente l’esatto quantitativo e di quasi il doppio dell’intera forza schierata da Mosca nel corso della guerra. Se preferite contare in termini di truppe di leva, la Russia in due “infornate”, una a primavera e una in autunno, riesce a raccogliere al massimo 260-280.000 giovani.

Quindi, è facile concludere che -al di là del Donbass e della Crimea- lo sforzo in termini di personale dell’occupazione del territorio ucraino non è sostenibile per la Federazione russa, nemmeno nell’ipotesi, molto improbabile, che gli Ucraini non si dedichino alla lotta partigiana e alla guerriglia. Molto semplicemente, per realizzare i sogni di Putin la Russia non dovrebbe quasi più avere un esercito e dovrebbe accettare costi materiali, umani e finanziari insostenibili per un Paese la cui economia è paragonabile a quella della Spagna come PIL.

Diverso è il discorso se il Cremlino decidesse di annientare completamente il popolo ucraino, attuando una deportazione di massa dai territori occupati secondo l’antica scuola zarista e poi sovietica. Circassi, Ceceni, Tatari, Greci, Ugro-Finnici, Coreani, Ucraini, Ungheresi, Italiani della Crimea e Tedeschi del Volga sono solo alcuni dei gruppi etnici “trasferiti a forza” da una parte all’altra della Russia (e dell’URSS) negli ultimi due secoli. Il gigante eurasiatico, è bene ricordarlo, ha nella parte asiatica un territorio di circa 13 milioni di chilometri con una densità di popolazione inferiore a tre abitanti per chilometro (o, se preferite, un tredicesimo di quella della Valle d’Aosta, la nostra regione più montuosa e meno popolosa,) e, anche se non se ne parla mai, una istituzione come le “città chiuse”, cioè dei grandi centri abitati con restrizioni per i residenti all’uscita e per eventuali visitatori (leggi: giornalisti ficcanaso, non certo turisti…) in entrata. Milioni di cittadini ucraini, privati dei documenti, di sostentamento e del cellulare, potrebbero essere agevolmente caricati sui treni dal ministero per le emergenze, una specie di protezione civile in salsa russa, basandosi su una legge approvata da Putin nemmeno cinque mesi fa. Ma come farli salire?

Le “giustificazioni” sarebbero tante: il territorio dove vivevano è adesso fortemente inquinato a causa della guerra, si avvicina un inverno rigido e a rischio COVID, ci vuole del tempo per la ricostruzione ecc. Una volta “trasferiti” su rotaie, potrebbero essere agevolmente distribuiti in piccoli gruppi in innumerevoli centri a Est degli Urali, impiegando – per così dire – gli uomini in lavori socialmente utili e facendo vivere donne e bambini grazie all’assistenza dello stato e alla carità della chiesa ortodossa, il più possibile separati dai loro amici, compagni di lavoro e vicini di un tempo, in modo tale da poterli gestire meglio. Avete presente quando si sparpagliano gli shanghai e poi non si possono più rimettere in ordine? Ecco quello che sarebbe il destino dei deportati. Così facendo, al posto di otto milioni di Ucraini, Mosca potrebbe collocare “coloni” presi dalle zone più depresse della Russia orientale, quelli stessi che hanno già compiuto razzie e violenze durante gli ultimi tre mesi e che hanno apprezzato il clima e il territorio, sicuramente più ospitali della Siberia. Il costo materiale e finanziario di un’operazione del genere sarebbe molto più sostenibile: quello umano sarebbe catastrofico. Per l’Ucraina. Quindi, per concludere, pare evidente che una eventuale riconquista non sarebbe impossibile come sostenuto dal presidente Zelensky, ma andrebbe compiuta prima che l’arrivo della stagione fredda dia ai Russi la scusa per cominciare “trasferimenti umanitari” dalle zone occupate, che sarebbero solo una forma di pulizia e sostituzione etnica.

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