Ha violentato una dipendente del suo agriturismo dicendole di tacere in cambio di un contratto in regola: anzi, il contratto gliel’avrebbe garantito se lei avesse accettato altri rapporti sessuali. Per questo Paolo Rotoli, 47 anni, imprenditore della Val Seriana, è stato condannato definitivamente dalla Cassazione a 6 anni e mezzo di carcere. La Suprema Corte, in particolare, ha respinto la richiesta delle attenuanti generiche. La pena è la stessa decisa sia dal tribunale di Bergamo in primo grado sia dalla Corte d’appello di Brescia. La Corte ha anche confermato il risarcimento di 45mila euro nei confronti della vittima “tenuto conto della sofferenza non solo morale ma anche fisica, in considerazione delle conseguenze” della violenza. La donna è stata sostenuta da assistenti sociali e personale medico nel suo percorso verso la denuncia.

La storia risale al novembre 2017. La vittima lavorava nella struttura – ristorante e produzione agricola – come lavapiatti, con un contratto da precaria. Viveva in condizioni di gravi necessità economiche e aveva figli piccoli. L’aggressione avvenne nello spogliatoio, mentre la dipendente si stava cambiando. Lui – ha ricostruito il processo – l’ha sorpresa di spalle e violentata dicendole “se ci stai, ti faccio il contratto”. Dopo lo stupro – la cui violenza è stata tale che la vittima è stata ricoverata in ospedale con una prognosi di due mesi – Rotoli si era rivolto verso la dipendente cambiando versione: “Se accetti altri rapporti con me, ti metto in regola”.

In aula l’avvocato aveva chiesto per l’imputato il riconoscimento delle attenuanti generiche “in considerazione dello status di incensurato dell’imputato, la cui condotta di vita precedente al fatto è stata sempre inappuntabile, essendosi in presenza di un gesto occasionale, compiuto da un onesto lavoratore e da un padre di famiglia sempre rispettoso delle regole”. Parole che non hanno smosso né il procuratore generale né i giudici di ultima istanza. Per la Cassazione al contrario è stata corretta la decisione della Corte d’appello di Brescia che ha negato lo sconto di pena data “l’assenza di elementi suscettibili di positiva considerazione, a fronte del disvalore della vicenda insito nel fatto che l’imputato ha compiuto una condotta illecita approfittando di una situazione lavorativa in cui egli si trovava in una posizione sovraordinata, essendo il datore di lavoro della persona offesa”. Stando a quanto emerso dal processo ai 20 euro che il datore di lavoro doveva alla donna per il suo turno in cucina, Rotoli – giorni dopo lo stupro – aveva aggiunto altri 30 euro dicendo che “voleva farle un regalo”.

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