di Antonio Carbonelli*

Nel nostro sistema penale si assiste a una strana mescolanza di reliquie del passato, tendenza verso uno stato che mostra i muscoli con i più deboli e sostanziale indulgenza verso altri reati. Quanto alle reliquie del passato, il Codice penale risale al 1930, in piena epoca fascista, contiene pene severissime, mitigate in sede giudiziaria solo con l’applicazione pressoché generalizzata di minimi della pena e circostanze attenuanti e con la concessione di una selva di benefici in sede di esecuzione delle pene. In materia di falso nummario gli artt.453-454 puniscono tuttora con pene severissime la cosiddetta tosatura delle monete, ossia il fatto di grattare parte dell’oro o dell’argento di cui le monete di una volta erano composte, col dare ad esse l’apparenza di un valore superiore, oppure scemandone in qualsiasi modo il valore. In materia di delitti contro l’ordine pubblico l’art.416, comma 4 punisce tuttora con pene severissime il brigantaggio, definito come il reato degli associati a delinquere che scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie.

Quanto alla odierna tendenza autoritaria, lo stato che mostra i muscoli con i più deboli, si possono citare l’omicidio stradale introdotto dalla L. 41/16; il tentativo fallito di eliminare la prescrizione del reato nel caso di condanna nel processo di primo grado, che avrebbe permesso la condanna definitiva in appello o cassazione decine di anni dopo la commissione del fatto che costituisce reato; il cosiddetto ergastolo ostativo, ossia l’esclusione dalla funzione di rieducazione del condannato prevista dalla Costituzione per i colpevoli di certi reati; o i reati di blocco stradale e ferroviario introdotti da un decreto-legge del 2018, che permettono di reprimere gran parte delle manifestazioni di protesta.

In materia di infortuni sul lavoro, tuttavia, nessuno parla di inasprire le pene, e nella pratica giudiziaria si applicano soltanto le imputazioni di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui all’art.589, comma 2 c.p., con pena da due a sette anni di reclusione, o di lesioni personali colpose aggravate di cui all’art.590, comma 3, con pene piuttosto lievi. La Procura della Repubblica di Torino, nel caso ThyssenKrupp, che aveva provocato la morte di sette operai investiti da olio bollente, aveva tentato di far applicare all’amministratore delegato della società la pena prevista per l’omicidio doloso, contestando la sussistenza del dolo eventuale (lo sai che puoi provocare la morte, ma accetti il rischio e lo fai lo stesso), ma l’impostazione veniva accolta dal Tribunale, non anche da Corte d’Appello e di Cassazione a Sezioni Unite. Eppure, non si vedono mai contestare figure di reato da sempre presenti nel nostro ordinamento: DPR 547/55, poi D.Lgs. 493/96, poi D.Lg. 626/94 e attualmente dal D.Lgs. 81/08, ma soprattutto gli artt. 437 e 451 c.p.

L’art.437 punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni, e da tre a dieci anni se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, il reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, definito come il fatto di chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia: che è proprio ciò che sta all’origine della stragrande maggioranza degli infortuni sul lavoro. L’art.451 punisce anche la omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro.

Ma ben s’intende: vediamo cosa ne pensano gli economisti liberisti. Spencer, un sociologo inglese dell’800, e uno degli ispiratori di Mises e Hayek, i teorizzatori del liberismo economico, nel saggio L’uomo contro lo stato (1884) ha il coraggio di identificare tra le misure dittatoriali, che riducono la libertà degli individui, le norme sulla sicurezza sul lavoro. Rothbard, un economista Usa del ‘900, e uno dei censori che avevano il compito vagliare preventivamente i contenuti delle pubblicazioni di Mises e Hayek, in Potere e mercato (1969) ha il coraggio di scrivere che le regolamentazioni sulla sicurezza sul lavoro negano a lavoratori e datori di lavoro la libertà di contratto. Stigler, un altro economista Usa del ‘900, nel saggio Tattica della riforma economica (1973) ha il coraggio di scrivere che i riformatori per ridurre gli incidenti nelle fabbriche fanno votare una legge contro il macchinario privo di ripari protettivi. Ma, spiega, spesso tali sistemi non servono a niente: è l’operaio infortunato che deve sopportare il costo della sua negligenza. Sono dei nomi conosciuti solo da pochi addetti ai lavori dell’economia.

Ma, se prendiamo Stigler, negli anni ’70 è stato presidente della Mont Pèlerin Society, l’accademia internazionale di diffusione del pensiero liberista fondata da Hayek su ispirazione di Lippman, e nel 1982 ha anche avuto il Nobel per l’economia. Allora diciamocela tutta: finché il Nobel per l’economia viene dato a chi ha il coraggio di affermare queste cose, ma anche finché giuristi, filosofi e ideologi di vario tipo non si leggono, non si decidono a leggere e a studiare cosa certi economisti hanno il coraggio di scrivere e teorizzare, c’è poco da sperare per il futuro.

* Avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia. Nel 2015 pubblica I fondamenti teoretici della “crisi” – Economia fuori controllo o disegno preciso?, critica filosofica del liberismo economico; nel 2016-17-18 la trilogia Rileggere la modernità, ripensamento radicale del pensiero della modernità; nel 2019 Realismo critico, alternative possibili a materialismo teoretico, nichilismo etico e liberismo economico; nel 2020 Rileggere l’economia – Storia e critica del pensiero economico da Platone a Piketty; nel 2021 Platone e Aristotele – Fondamenti del pensiero etico, politico, economico e giuridico nel terzo millennio e Rethinking Economics, edizione inglese di Rileggere l’economia (Marco Serra Tarantola Editore).

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