Dal Corriere del Veneto del 2 aprile 2022 apprendiamo che per superare lo stallo nella definizione dei cosiddetti Livelli essenziali delle prestazioni, noti come Lep, “la musica è cambiata” e “i Lep, almeno per ora, tornano in soffitta”. Apprendiamo tale notizia senza aver rilevato l’esistenza di un ampio dibattito pubblico e mediatico – su un tema così delicato – tra i rappresentanti del Mezzogiorno nelle istituzioni. Sarà importante una ferma presa di posizione in merito da parte dei governatori del Sud e dei parlamentari che il Sud rappresentano in seno al Parlamento.

La motivazione di tale intenzione risiederebbe (leggendo l’articolo) nel fatto che il 40% delle risorse del Pnrr avrebbe un vincolo di spesa al Sud. Basare una scelta così rilevante su tale assunto sovrappone più livelli di questioni più complesse. Tale vincolo di spesa del Pnrr nasce anche dalla presa di coscienza dell’entità del divario nella erogazione dei servizi tra Nord e Sud del paese e nel tentativo di porvi rimedio con un piano di spesa idoneo.

A tal proposito giovi ricordare che, nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 21 luglio 2020, si legge che le politiche di coesione devono “ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali all’interno degli Stati membri e in tutta Europa, sviluppare e proseguire l’azione intesa a realizzare il rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale, contribuendo a ridurre le disparità tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e l’arretratezza delle regioni meno favorite”. Il vincolo nasce anche dalla considerazione di un perdurante disimpegno nei confronti del Sud negli ultimi vent’anni che ha portato i divari nel paese a valori sempre più ampi.

D’altro canto, secondo gli studi e le simulazioni di Svimez, la clausola del 34% prevista dal Decreto Mezzogiorno del Governo Gentiloni, che prevedeva una redistribuzione di spesa in conto capitale basata sulla consistenza demografica delle aree del paese, avrebbe offerto al paese un beneficio complessivo anche negli anni in cui la spesa al Sud è stata fortemente contratta. È il caso di precisare che tale clausola, che impone al federalismo fiscale italiano l’obbligo di considerare i cittadini italiani portatori di medesimi diritti in base ai principi costituzionali, è stata a lungo disattesa, nonostante le buone intenzioni di chi l’aveva istituita nell’ormai lontano 2017.

Altra cosa è il meccanismo di funzionamento della ripartizione delle risorse secondo l’impianto di base previsto dalla Costituzione, inceppato da quando il Titolo V è stato modificato. Che i Lep siano centrali lo sostiene non una parte politica, bensì la Costituzione. E nella medesima direzione si è recentemente espressa la Corte Costituzionale. Con la Sentenza n. 220/2021, la Corte ha ribadito un chiaro disappunto nei riguardi del “perdurante ritardo dello Stato nel definire i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), i quali indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, nonché ‘il nucleo invalicabile di garanzie minime’ per rendere effettivi tali diritti”. Più avanti, la sentenza sottolinea che la definizione dei Lep costituisce una condizione imprescindibile “per uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali”.

Per quale ragione? Risponde ancora la Corte Costituzionale: “per ridurre il contenzioso sulle regolazioni finanziarie fra enti” e, altro aspetto di cogente attualità, sarebbe “urgente anche in vista di un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”. Questo significa che abbandonare la strada nella definizione dei Lep sarebbe maggiormente errato oggi, rischiando di affidare la distribuzione delle risorse dello stesso Pnrr a criteri poco aderenti allo spirito della Costituzione. La sentenza chiude con chiarezza il passaggio, sostenendo che “in definitiva, il ritardo nella definizione dei Lep rappresenta un ostacolo non solo alla piena attuazione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, ma anche al pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti sociali”.

La questione non è un semplice tecnicismo e rimane evidente la gravità del ritardo nel superamento del metodo di ripartizione basato sulla cosiddetta “spesa storica”; la sentenza richiamata ricalca la centralità della definizione dei Lep, previsti dal Titolo V della Costituzione, all’art. 117, lett. m, secondo cui essi definiscono “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Il ministero per il Sud e la Coesione Territoriale li definisce “quei servizi e quelle prestazioni che lo Stato deve garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, in quanto consentono il pieno rispetto dei diritti sociali e civili dei cittadini”.

Con il federalismo fiscale, i comuni hanno ottenuto di poter conseguire una significativa autonomia fiscale, così da non dover dipendere dai trasferimenti provenienti dallo Stato. Ciò comportò, come spiega bene Marco Esposito in Zero al Sud (Rubbettino, 2018), la creazione di un sistema con forte disparità dal fronte delle entrate e soprattutto la trasformazione degli stanziamenti di perequazione verso comuni con meno risorse, da verticali (ossia dallo Stato in favore dei comuni meno ricchi) a orizzontali (dai comuni con più risorse in favore di quelli meno dotati). Come emerge da quel testo, i rappresentanti meridionali si fecero sentire poco, nei dibattiti in cui veniva definito l’impianto del federalismo all’italiana. O non si fecero sentire affatto, in alcuni casi. Un dibattito in cui, scrive ancora Esposito, “si considerò essenziale e quindi meritevole di finanziamento l’asilo nido dove c’era e superfluo, se non inutile, dove non c’era”. Insomma, “non si ebbe pudore nel sostenere che quelle differenze fossero giuste”.

Per evitare di poter continuare a considerare più bisognoso chi gode di maggiori servizi, diventa – a maggior ragione – centrale la definizione dei Lep, in attuazione dei Principi Fondamentali della Costituzione, a partire da quanto sancito dall’art. 3.

Oggi, la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni diventa indispensabile per diversi ordini di motivi: la lotta ai divari interni, sotto osservazione anche in ambito Ue; l’equa attuazione del piano Pnrr, in base alla consistenza demografica delle aree del paese e al livello dei servizi effettivamente erogati – nessuno avrà dimenticato la presa di coscienza del divario nei trattamenti sanitari durante il primo periodo della pandemia; l’attuazione dei Principi Fondamentali della Costituzione; la presa di coscienza della crescita di povertà e divari anche in comuni del Centro-Nord, che supera i tradizionali confini della questione divari, estendendoli a tutti i comuni del Centro-Nord che sarebbero esposti a rischi rilevanti con un’attuazione orientata ancora verso gli interessi delle sole aree più ricche del paese.

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