Il Mezzogiorno si allontana ancora dal Centro-Nord sotto il profilo dell’occupazionale e nel 2019 è entrato in recessione. Nonostante il reddito di cittadinanza, che è sì utile ma ha avuto un impatto “nullo” sul lavoro. È questa la fotografia scattata dal Rapporto Svimez, nel quale si segnala come dall’inizio del nuovo secolo anni abbiano lasciato il Sud in 2 milioni, la metà dei quali under 34. “Se riparte il Sud riparte l’Italia. Non è uno slogan, ma una affermazione che nasce da una consapevolezza che deve guidare l’azione di governo”, ha commentato il premier Giuseppe Conte annunciando che il Piano per il Sud “sarà varato a fine anno”. Più cauto, invece, il giudizio del presidente del Consiglio sull’utilità del reddito di cittadinanza perché, a suo avviso, “non va valutato in un lasso temporale così breve” ma “in un periodo molto più lungo”.

L’associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno spiega che è tornato ad allargarsi il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord, che “nell’ultimo decennio è aumentato dal 19,6% al 21,6%: ciò comporta che i posti di lavoro da creare per raggiungere i livelli del Centro-Nord sono circa 3 milioni”. E nel 2019 la crescita dell’occupazione nel primo semestre “riguarda solo il Centro-Nord” con 137mila posti di lavoro in più, ai quali si “contrappone il calo” nel Meridione, dove si contano 27mila posti in meno.

Il Sud, aggiunge la Svimez, nel 2019 è entrato in “recessione”, con un pil stimato in calo dello 0,2%, a fronte del +0,3% del Centro-Nord (+0,2% la media nazionale). Il prossimo anno, aggiunge l’associazione, farà segnare una “debole ripresa” con il Mezzogiorno che crescerà non oltre lo 0,2% (a fronte dello 0,6% dell’Italia nel complesso). In questa maniera, si sottolinea nel Rapporto, “l’Italia si allontana dall’Europa” e “il divario Nord-Sud rimane non sanato”. Si crea così un “doppio” gap a svantaggio del Mezzogiorno: “L’Italia – spiega il direttore Luca Bianchi – segue il profilo di crescita europeo con un’intensità sempre minore e il Mezzogiorno aggancia in ritardo la ripresa e anticipa le fasi di crisi”.

In questo contesto, il reddito di cittadinanza viene giudicato “utile”, ma la Svimez sostiene che “la povertà non si combatte solo con un contributo monetario”. E l’impatto della misura bandiera del M5s sul lavoro viene definito “nullo” in quanto la misura “invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro”. Nel Rapporto si ricorda che da “diversi anni la Svimez ha proposto l’introduzione anche nel nostro Paese di una politica universale di contrasto al disagio e all’esclusione sociale, per questo va accolta con favore la scelta del Primo Governo Conte di porre al centro della manovra di bilancio 2019 una misura di contrasto alla povertà”, come il reddito di cittadinanza. Anche se la Svimez sottolinea “che la povertà non si combatte solo con un contributo monetario e che identificare la misura come una politica per il Mezzogiorno è scorretto perché si basa sulla dannosa semplificazione che vorrebbe dividere il Paese nei due blocchi contrapposti e indipendenti di un Nord-produttivo e un Sud-assistito”.

Una delle vie perseguibili per rilanciare il Mezzogiorno, secondo la Svimez, è trasformarlo nella “piattaforma verde” del Paese: “La bioeconomia meridionale si può valutare tra i 50 e i 60 miliardi di euro, equivalenti a un peso tra il 15% e il 18% di quello nazionale”, stima l’associazione. E il Green New Deal può essere “un’opportunità di rinascita economica del Mezzogiorno”. Svimez sottolinea poi “l’urgenza di rendere cogente la clausola del 34% degli investimenti ordinari al Sud”, visto che “nel 2018 mancano nel Mezzogiorno circa 3,5 miliardi di investimenti”. Secondo l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno “l’applicazione della clausola del 34% determinerebbe un’accelerazione della crescita del pil meridionale dello 0,8%, riportandolo ai livelli di crescita del Centro- Nord”.

E se il Sud arranca sotto il profilo economico, non va meglio dal punto di vista demografico. Dal 2000, secondo Svimez, hanno lasciato il Mezzogiorno “2 milioni e 15 mila residenti”, la metà giovani fino a 34 anni e “quasi un quinto laureati”. Più in generale è tutta l’Italia a soffrire in chiave demografica: nel 2018 si è raggiunto “un nuovo minimo storico delle nascite”, si ricorda, sottolineando che al Sud sono nati circa 157mila bambini, 6 mila in meno del 2017. La novità, spiega, è “che il contributo garantito dalle donne straniere non è più sufficiente a compensare la bassa propensione delle italiane a fare figli”. Esiste, insomma, il rischio di una “trappola demografica”.

Senza un’inversione di tendenza “nel 2065 la popolazione in età da lavoro diminuirà del 15% nel Centro-Nord (-3,9 milioni) e del 40% nel Mezzogiorno (-5,2 milioni)”.Uno scenario questo definito “insostenibile”, viste anche le conseguenze economiche: tra meno di cinquant’anni “con i livelli attuali di occupazione, produttività e di saldo migratorio, l’Italia perderà quasi un quarto del pil, il Sud oltre un terzo”. Per Svimez “le possibilità di contenere tali effetti sono legate ad un significativo incremento del tasso di occupazione, in particolare di quello femminile”.

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