I rifugiati che scappano dalle regioni orientali, i tanti volontari delle associazioni locali e internazionali, gli autobus per accompagnare gli sfollati oltre frontiera, furgoni e ambulanze con gli aiuti umanitari. La parte occidentale dell’Ucraina non è mai stata così trafficata di persone, di merci, di un’umanità sconvolta dalla guerra e non è facile, in questo traffico impazzito, verificare chi entra, chi esce, cosa passa e cosa viene importato. La sensazione è che oggi, in questa nazione sconvolta dal conflitto, è in vigore la legge marziale ma regna anche molta anarchia.

Fino a prima del 24 febbraio, per attraversare il confine polacco ed entrare nell’ex repubblica sovietica i tempi di attesa erano spesso estenuanti, non tanto per le lunghe file di autovetture ma per i controlli che si prolungavano ore. Per non parlare della frontiera ungherese, dove – quasi sempre – andava addirittura peggio. Oggi, paradossalmente, accade il contrario. Qualche giorno fa, in macchina dall’Italia per portare un carico di medicinali, al confine di Budomierz sono stati sufficienti dieci minuti per attraversare il valico. Altroché file chilometriche, attese lunghissime, code interminabili: un timbro veloce sul passaporto e via, dall’altra parte. Nessun controllo agli oltre trenta scatoloni stipati nel bagagliaio e nessuna domanda sulla destinazione: nulla. Un’altra ora di viaggio, poi, e si arriva a Leopoli e anche nei 60 chilometri dall’entrata in Ucraina alla splendida città della Galizia di check point nemmeno l’ombra. Meglio così naturalmente, ma se invece degli antidolorifici e di garze, siringhe, insulina e paracetamolo ci fossero stati kalashnikov da spedire al fronte? La domanda sorge spontanea, dal momento in cui si entra in un territorio di guerra.

D’altronde, che di armi qui ce ne siano già parecchie lo testimonia la decisione di sospendere completamente, al supermercato come al ristorante, la vendita di alcolici: in Ucraina, ufficialmente, non si beve più. Meglio evitare che qualcuno alzi il gomito con il fucile a tracolla. Leopoli, dal canto suo, è ormai come un porto di mare. La zona della stazione assomiglia a un accampamento dove numerose e benemerite associazioni umanitarie garantiscono un pasto caldo e un aiuto per trovare un alloggio ma in mezzo a tante persone di buon cuore c’è anche chi si fa pagare per lasciare il Paese. Niente di diverso da quanto appurato alla frontiera con la Moldova, dove un passaggio “amichevole” per arrivare in Romania costava 130 euro. E’ il business della guerra e non è una novità.

E non è nemmeno la prima volta che gli stessi ucraini mettano in allerta i volontari che arrivano dall’estero, Italia compresa: “Fate attenzione a chi destinate gli aiuti, perché non tutti qui sono affidabili”. Un refrain che risuona un po’ ovunque e che confermerebbe un’altra cattiva abitudine presente in molti conflitti: il mercato nero delle medicine e dei beni di prima necessità che non sempre finiscono dove c’è più bisogno. Nessuna prova e nessun riscontro oggettivo, ma è il leitmotiv ripetuto un po’ dappertutto da chi vive sul posto. Se sarà vero non lo sappiamo ma fa pensare. Anche in Italia, peraltro, qualcuno ci prova: “Siamo stati contattati da tre individui che si sono proposti di trasportare i nostri aiuti umanitari in Ucraina – racconta una onlus del Nordest che preferisce l’anonimato – ma non appena gli abbiamo detto che il carico sarebbe stato seguito dalla macchina di un nostro affiliato sono spariti e non si sono più fatti sentire”. Un caso?

Di certo, le villette sparse nella zona vicino al confine con la Polonia, con tanto di inferriate, cancelli automatici e telecamere di sorveglianza, stridono parecchio con la periferia dimessa di qualunque altra città ucraina. C’è chi sostiene che siano il frutto dei risparmi guadagnati da coloro che, da queste zone, sono andati a lavorare all’estero. Ma c’è anche chi, sottovoce, racconta invece che i proprietari siano spesso i funzionari della dogana, che con le bustarelle si costruiscono il loro buen retiro. Speculazioni, invidie, stereotipi di un Paese non sempre agevole da decifrare? Forse, ma intanto, come conferma un’agenzia immobiliare di Leopoli, i prezzi delle case stanno aumentando velocemente. I rifugiati dalle altre regioni ucraine hanno alzato la domanda e guarda caso le tariffe a metro quadro si sono impennate. E’ la regola del mercato. Anche (e soprattutto) in guerra.

Articolo Precedente

Guerra Russia-Ucraina, cosa rimane di Irpin dopo i bombardamenti: macerie, auto bruciate ed edifici distrutti

next
Articolo Successivo

Così la Russia potrebbe uscire da Internet: le opzioni per arrivare a una “autarchia digitale”. Una l’ha già testata: un gigantesco Intranet

next